L’imposta di registro: presupposto e soggetti passivi, base imponibile, liquidazione e riscossione-

L’imposta di registro: presupposto e soggetti passivi, base imponibile, liquidazione e riscossione-

L’imposta di registro è regolata dal D.P.R. nr. 131 del 26 aprile 1986, Testo unico dell’imposta di registro.
Essa è dovuta al momento della registrazione degli atti presso l’Agenzia delle Entrate.
Si presenta come tributo avente una duplice natura, anche se alternativa: di tassa quando è correlata ad una erogazione di servizio da parte della pubblica amministrazione, e di imposta quando è determinata in proporzione al valore economico dell’atto o del negozio.
Il legislatore pone quale presupposto dell’imposta la richiesta della registrazione dell’atto o del negozio.
In virtù di tale presupposto gli atti rilavanti si articolano in:
- atti soggetti a registrazione in termine fisso;
- atti soggetti a registrazione in caso d’uso;
- atti non soggetti a registrazione.

Atti soggetti a registrazione in termine fisso (artt. 3, 4 e 5)
Sono quegli atti per i quali è obbligatorio presentare la richiesta di registrazione entro 20 giorni dalla data dell’atto o, se precedente, dall’inizio del contratto (30 giorni per la locazione) se formati in Italia, oppure entro 60 giorni se formati all’estero.
Tali atti sono:

  • atti scritti indicati nella tariffa;
  • i contratti verbali di locazione e affitto di beni immobili esistenti in Italia, di trasferimento, affitto, nonché di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento, relativamente ad aziende esistenti in Italia;
  • operazioni societarie, costituzione, conferimenti, aumenti di capitale sociale, fusioni, scissioni, etc. etc;
  • atti formatisi all’estero

Atti soggetti a registrazione in caso d’uso (art. 6)
In questa ipotesi la registrazione non si configura quale obbligo ma onere, affinchè si possa trarne interesse dal suo “uso”.
Il “caso d’uso” si ha quando l’atto è depositato presso le cancellerie giudiziarie e viene applicata l’imposta nel momento in cui l’atto viene prelevato al fine di svolgere tramite esso un’attività amministrativa.
Non si applica l’imposta in caso d’uso:

  • per ottemperare ad un obbligo della pubblica amministrazione, nei casi previsti dalla legge;
  • in un giudizio civile, penale ed amministrativo;
  • per supportare una domanda di insinuazione al passivo fallimentare.

Si applica invece nei seguenti casi: (art 5, comma 2)

  • le scritture private non autenticate con oggetto di cessione di beni/prestazioni di servizi per l’applicazione dell’Iva;
  • atti individuati mediante rinvio ad altre disposizioni, formati mediante corrispondenza (incontro di volontà delle parti).

Atti non soggetti a registrazione
Atti per i quali la richiesta di registrazione è volontaria ed è eseguita da chiunque abbia interesse a fornire certezza dell’esistenza dell’atto e della sua data (art. 7).
Gli atti rogati da un notaio o da un altro ufficiale rogante devono essere registrati presso l’Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione risiede il pubblico ufficiale.
Gli altri possono essere registrati presso qualsiasi Agenzia delle Entrate in Italia.
L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrispondenza il titolo o la forma apparente – ex art. 20 D.P.R. nr. 131/86.
Segnatamente, l’applicazione dell’imposta deve avvenire sulla base della natura intrinseca dell’atto, non rilevano pertanto né l’intitolazione dell’atto o la forma apparente dello stesso (prevalendo la sostanza dell’atto), né lo scopo perseguito dalle parti.
L’imposta di registro si configura come imposta d’atto e ciò che rileva ai fini impositivi sono gli effetti giuridici che l’atto è idoneo a produrre, a prescindere dal fatto che siano o meno voluti dalle parti o dal loro reale verificarsi e che, in caso di contrasto, prevalgono sul titolo e sulla forma.

Misura dell’imposta
La legge, in base alla tipologia dell’atto che deve essere registrato, prevede che l’imposta possa essere:

  • fissa: importo fisso a prescindere dal valore dell’atto. Il presupposto è la prestazione del servizio amministrativo di registrazione;
  • minima: importo minimo da versare quando si effettua la prima registrazione. L’importo è uguale alla fissa;
  • predeterminata: importo predefinito dalla legge in base alla tipologia del bene oggetto dell’atto (es. autoveicoli, motoveicoli, imbarcazioni);
  • proporzionale: importo percentuale sul valore dell’atto da registrare, nel quale vi è la realizzazione di un atto o di una operazione e la base imponibile è sul valore dell’atto.

Atti che contengono più disposizioni
Nel caso l’atto contenga più disposizioni che derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta viene applicata con riferimento alla disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa, cioè il tributo si applica solo alla disposizione che consenta il maggior introito per il fisco, a prescindere dalla circostanza che l’aliquota sia o meno più elevata.
Viceversa, se un atto contiene più disposizioni che non siano legate dal vincolo di interdipendenza postulato dalla norma, queste ultime costituiscono atti distinti, e come tali andranno autonomamente assoggettati all’imposizione (art. 21, comma 1).
Sul tema degli atti a contenuto plurimo si richiamano alcune interessanti pronunce di legittimità.
Secondo la Suprema Corte “In tema di imposta di registro, e con riferimento alla disciplina degli atti che contengono più disposizioni ai sensi dell’art. 21 del D.P.R. 26 aprile 1986, nr. 131, al fine di ritenere necessariamente connesse e derivanti l’una dall’altra più disposizioni contenute nello stesso atto (ovvero più statuizioni, ove l’atto sia un provvedimento giudiziario) – ciò che comporta, in virtù del secondo comma del citato art. 21 (norma eccezionale, e pertanto di stretta interpretazione), l’applicazione di una sola volta dell’imposta, come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa -, occorre che non si possa concepire l’esistenza dell’una disposizione (o statuizione) se si prescinde dall’altra, determinandosi una connessione oggettiva per volontà della legge o per l’intrinseca natura delle diverse disposizioni (o statuizioni), a nulla rilevando l’esistenza, tra le stesse, di una mera connessione soggettiva. Ne consegue che, allorchè una sentenza contenga un capo di condanna dei condebitori in solido (appaltatore e committente) a risarcire il danno extracontrattuale subito dal terzo e, inoltre, un capo di condanna dell’un condebitore (appaltatore) a tenere indenne l’altro condebitore (committente) in virtù della posizione di garanzia contrattualmente assunta dal primo nei confronti dell’altro, le due statuizioni, aventi diverso titolo e funzione, non possono ritenersi necessariamente derivanti l’una dall’altra, essendo connesse in maniera soltanto occasionale o per mera volontà delle parti, e sono pertanto soggette ad imposta (ai sensi della regola generale recata dal primo comma del già citato art. 21 D.P.R. 26 aprile 1986, nr. 131), come se ciascuna statuizione fosse un atto distinto” (Cass. Civ. Sez. V, 07.06.2004, nr. 10789).
Tematica più volte oggetto di attenta disamina da parte della Corte Suprema è stata quella relativa alla cessione di quote societarie.
Con due recenti pronunce la Cassazione ha negato la sussistenza del vincolo di connessione immediata e necessaria tra le disposizioni, che consentirebbe di procedere alla tassazione unica; la prima ipotesi riguardava la cessione di quote sociali da parte di un unico alienante a sei acquirenti diversi; la seconda fattispecie afferiva un atto di cessione di quote di partecipazione di due soci di una società ad un unico cessionario (Cass. Civ. Sez. VI, Ordinanza 19.02.2015, nr. 3300; Cass. Civ. Sez. VI, Ordinanza 05.11.2014, nr. 23518).
Anche l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione del 2.4.2015, nr. 35/E ha ribadito che l’atto contenente più cessioni di quote sociali è soggetto a molteplici imposte di registro in misura fissa, tante quante sono le cessioni realizzate.
In tal caso, infatti, è necessario fare applicazione dell’art. 21 del D.P.R. nr. 131/1986 che, in relazione alla tassazione degli atti contenenti più disposizioni, dispone la tassazione “unica” solo ove le disposizioni contenute nell’atto siano legate da un vincolo di derivazione necessaria.
Anche relativamente alla tassazione della clausola penale - che è un patto accessorio del contratto – posto dalle parti al fine di rafforzare il vincolo contrattuale, con funzione sia di coercizione all’adempimento che di predeterminazione della misura del risarcimento per l’inadempimento -, l'Agenzia delle Entrate, con Nota prot.
n. 37916 della Direzione regionale del Lazio, recante «Criteri di tassazione di alcune fattispecie di negozi giuridici contenuti negli atti notarili» ha precisato che non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 21 predetto, perché la sua presenza in un contratto è meramente facoltativa; a meno che la sua presenza non sia necessitata da norme di legge in tal senso. In quest'ultimo senso è ad esempio il caso della clausola penale inserita nei contratti di appalto pubblici in ottemperanza dell’articolo 26, comma 6, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, che stabilisce “I progettisti e gli esecutori di lavori pubblici sono soggetti a penali per il ritardato adempimento dei loro obblighi contrattuali…”.  In tal caso, a differenza dell’ipotesi concernente la non necessaria connessione di una clausola penale apposta volontariamente dalle parti ad un contratto, le disposizioni contenute  nell’atto - contratto d’appalto e clausola penale derivano necessariamente le une dalle altre e, pertanto, l’atto è soggetto all’imposta di registro dovuta per “…la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa” (articolo 21, comma 2, del testo Unico dell’imposta di Registro).

Gli atti sottoposti a condizione sospensiva
Gli atti sottoposti a condizione sospensiva scontano l’imposta di registro in misura fissa.
Successivamente, al verificarsi della condizione (o quando l’atto produce i suoi effetti prima dell’avverarsi di essa), si applica l’imposta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell’atto, e viene riscossa la differenza tra l’imposta dovuta e l’imposta pagata in sede di registrazione.

Enunciazione di atti non registrati
Ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. nr. 131/1986 “se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica alle disposizioni enunciate”.

Per individuare l’ambito applicativo dell’articolo menzionato, occorre preliminarmente identificare il significato dei termini “enunciazione” e “disposizione”.
Per disposizione deve intendersi qualunque atto idoneo a produrre, modificare o estinguere rapporti giuridici ed in genere qualunque negozio giuridico produttivo di effetti, il cui contenuto sia suscettibile di valutazione patrimoniale.
Per enunciazione deve intendersi l’espresso richiamo dei contraenti al negozio, contenuto in un atto scritto o un contratto verbale, dagli stessi posti in essere.
Nell’enunciazione, quindi, devono essere evidenziati tutti gli elementi costitutivi dell’atto cui si fa riferimento, con una fedele ricostruzione conforme al suo contenuto e alla sua struttura originali, di modo che l’imposta possa essere applicata anche sul registro enunciato, secondo gli effetti che è idoneo a produrre.
La tassazione per enunciazione, dunque, non può operare nelle ipotesi in cui l’esistenza di un negozio sia desumibile solo da elementi indiretti e non in maniera certa e diretta per il richiamo espresso a tutti i suoi elementi fatto dalle diverse parti.
E’ necessario, in sostanza, che nell’atto enunciante siano contenuti elementi tali da consentire di identificare la convenzione enunciata sia in ordine ai soggetti che al suo contenuto oggettivo e alla sua reale portata, in modo da fornire non solo la prova della sua esistenza ma da costituirne il titolo.
Pare questa la ragione per cui la disposizione in commento prevede che la tassazione per enunciazione sia possibile solo a condizione che vi sia identità delle parti intervenute nell’atto enunciante e in quello enunciato.
I contratti verbali vengono ad esistenza unicamente allorquando sono richiamati in altri atti scritti, nel rispetto delle condizioni indicate all’art. 22.
Il rinvio all’articolo da ultimo menzionato, effettuato dall’art. 3 del TUR, deve intendersi riferito al suo intero contenuto, in modo che, in occasione della registrazione dell’atto enunciante, non sono dovute sanzioni per l’atto enunciato, giacché lo stesso non era soggetto a registrazione in termine fisso.  Quindi, se da un lato i contratti verbali (fatta eccezione per quelli di cui all’articolo 3, comma 1, da registrare in termine fisso) non sono soggetti all’applicazione dell’imposta di registro all’atto della loro formazione, dall’altro essi, una volta “incorporati” in un atto scritto, vengono invece ad avere, anche se indirettamente, quel requisito che di regola rende l’atto oggetto dell’imposizione con il tributo di registro, vale a dire la formazione per iscritto.
L’enunciazione comporta in sostanza una sorta di “trasposizione” in un atto scritto del contratto verbale e, conseguentemente, dà luogo alla stessa imposizione applicabile se, ab origine, il contratto fosse stato stipulato per iscritto.
La regola di cui si è sin qui trattato risulta tuttavia temperata dalla disposizione contenuta nell’art. 22, comma 2, del TUR, secondo la quale “l’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione”.
Ne consegue che pur in presenza dei presupposti per assoggettare a tassazione l’atto enunciato, ai sensi dell’art. 22 comma 1, l’atto stesso non dovrà scontare alcuna imposta ricorrendo le circostanze di cui allo stesso articolo 22, secondo comma.
La disposizione di cui al più volte menzionato articolo 22, riguarda, come si è visto, sia gli atti scritti che i contratti verbali non registrati enunciati nell’atto da sottoporre a registrazione.
Non vi è dubbio che rientrino tra gli atti scritti non registrati tutti quelli per cui il TUR prevede la registrazione in termine fisso, i quali sono peraltro espressamente menzionati dalla seconda parte del comma 1 dell’art. 22.
Si pone tuttavia il problema per quanto attiene gli atti che, ai sensi dell’art. 6, non sono soggetti a registrazione sin dal momento della loro formazione, ma solo nell’ipotesi in cui si verifichi il caso d’uso.
Al riguardo occorre far menzione di un recente orientamento della giurisprudenza.
Muovendo dalla formulazione dell’art. 22, comma 1 del D.P.R. nr. 131/1986 – nella parte in cui tale articolo dispone che la sanzione pecuniaria per l’omessa registrazione si applica ai soli atti enunciati “soggetti a registrazione in termine fisso” – la Cassazione con la sentenza nr. 5946/2007, ha affermato che la tassazione per enunciazione debba ritenersi operante anche nell’ipotesi in cui l’atto enunciato sia soggetto a registrazione solo in caso d’uso, pur ritenendo che l’enunciazione non concreti una delle ipotesi di cui all’art. 6 del D.P.R. nr. 131/1986.
La Cassazione ha infatti chiarito che l’elenco delle ipotesi in cui si verifica il caso d’uso, dettato dall’art. 6 del D.P.R. nr. 131/1986, è da considerarsi tassativo, ma l’applicazione dell’imposta per enunciazione può comunque ricavarsi dall’interpretazione dell’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 22 del D.P.R. nr. 131/1986.

In sostanza la Corte ritiene che la specificazione contenuta nella citata disposizione non avrebbe ragion d’essere laddove l’istituto dell’enunciazione non fosse applicabile anche agli atti soggetti a registrazione in caso d’uso e a prescindere dal verificarsi dell’uso stesso.

Conseguentemente per gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, verificatisi i presupposti per l’enunciazione, sarebbe applicabile oltre all’imposta, anche la sanzione per la mancata registrazione, mentre gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso, nella stessa ipotesi,

sconterebbero solo l’imposta.

Imposta di registro e formazione dell’atto mediante corrispondenza

L’articolo 1, comma 1, lett. a) della Tariffa, Parte Seconda, allegata al TUR, contiene una norma di notevole rilievo, perché di frequente utilizzo nella pratica professionale: e cioè la prescrizione in base alla quale per tutta una serie di importanti atti e contratti (i quali, di regola, dovrebbero essere soggetti a registrazione in “termine fisso”) viene disposta, se formati “mediante corrispondenza” la registrazione solo “in caso d’uso” (con la medesima tassazione prevista per il caso in cui essi fossero soggetti a registrazione “in termine fisso”).
Gli atti interessati a questa disciplina sono i seguenti:

  • gli atti traslativi della proprietà o traslativi o costitutivi di diritti reali su beni diversi dagli immobili, dagli autoveicoli e dalle unità da diporto;
  • gli atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura;
  • le cessioni di crediti, le compensazioni e remissioni di debiti, quietanze, tranne quelle rilasciate mediante scrittura privata non autenticata; garanzie reali e personali a favore di terzi, se non richieste dalla legge;
  • gli atti diversi da quelli altrove indicati, aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale;
  • i contratti preliminari di ogni specie.
    Viene precisato, peraltro, che questa regola della registrazione “in caso d’uso” per la formazione mediante corrispondenza non può applicarsi:
  • agli atti per i quali “dal codice civile è richiesta a pena di nullità la forma scritta”;
  • agli atti che hanno per oggetto “cessioni di aziende o costituzioni di diritti di godimento reali o personali” su aziende.

Si tratta dunque di comprendere esattamente che cosa significhi l’espressione “atti formati mediante corrispondenza”.
In diritto, quando si fa riferimento alla formazione di un atto mediante corrispondenza, è quasi automatico volgere la mente alla formazione del contratto che deriva dall’incrocio tra proposta e accettazione e che si ha, più precisamente, quando chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione della controparte (art. 1326, comma 1, c.c., letto in correlazione con l’art. 1335 c.c.).
Peraltro, non si deve limitare l’attenzione al campo contrattuale, in quanto nell’ambito degli atti cui si applica il disposto dell’articolo 1, comma 1, lett. a), Tariffa Parte 2, vi sono anche gli atti unilaterali (come la quietanza e la remissione del debito).
Questi atti in effetti si “formano” quando il loro autore abbia manifestato la sua volontà in tal senso e, per essere “efficaci”, una volta “formati”, devono essere diretti al loro destinatario e devono giungere a sua conoscenza (art. 1334 c.c.).
Sempre con riferimento alla formazione per corrispondenza degli atti che – pur essendo contratti – vengono in essere per effetto della manifestazione espressa di volontà di una sola parte – (si pensi alla concessione di una garanzia, come la fideiussione o il pegno, che si perfeziona, quale contratto ad obbligazioni del solo proponente, per effetto del mancato rifiuto del destinatario della proposta, art. 1333, comma 2, c.c.), si può immaginare anche che i soggetti interessati (datore di garanzia, debitore da garantire, creditore garantito) si accordino al fine di considerare tra loro, nel caso specifico, che l’effetto giuridico non sorga in virtù di tale espressione “unilaterale” di volontà (del garante, per stare all’esempio) per effetto del mancato rifiuto da parte del destinatario, ma debba utilizzarsi necessariamente una forma ad “espressione bilaterale”, e cioè che la garanzia in tanto sorga in quanto vi concorra l’espressa volontà del garante e del garantito: “recuperata” in tal modo la “bilateralità”, può farsi luogo conseguentemente alla formazione del contratto mediante corrispondenza.
Tornando dunque al concetto di “corrispondenza”, la legge non specifica che si debba necessariamente trattare di spedizione “postale” anche se, evidentemente, l’utilizzo del servizio postale rappresenta senz’altro la best practice in questa materia.
Questa spedizione può dunque avere ad oggetto:
Ø il medesimo documento, e cioè la proposta che, una volta sottoscritta dal mittente, sia inviata al destinatario, e poi da questi rispedita al mittente, dopo essere stata firmata, in segno di accettazione, dal destinatario stesso;
Ø due distinti documenti: da un lato, la proposta, sottoscritta dal mittente e da questi spedita al destinatario; d’altro lato, l’accettazione, sottoscritta dall’accettante (normalmente confezionata riproducendo la proposta, con la formula “ho ricevuto la Vostra proposta del seguente tenore: …e dichiaro di accettarla”) e spedita al mittente della proposta.
Ovviamente, al fine di evitare contestazioni sul punto che la formazione del contratto sia stata simultanea e che la corrispondenza sia solo una artificiosa costruzione, la soluzione della duplicità dei documenti appare senz’altro la più idonea.

La registrazione d’ufficio
L’art. 15 del D.P.R. nr. 131/1986, disciplina l’istituto della registrazione d’ufficio che, come è noto, costituisce una sostanziale deroga alla disciplina ordinaria, secondo la quale la formalità deve essere sempre richiesta dai soggetti obbligati o interessati all’atto.
Attualmente l’art. 15 in esame prende in considerazione un elenco tassativo di ipotesi nelle quali, mancando la richiesta di registrazione da parte dei soggetti indicati alle lettere a), b) e c) dell’art. 10 del TUR, la registrazione viene effettuata dall’Agenzia delle Entrate mediante notifica di apposito avviso di liquidazione al soggetto o a uno dei soggetti obbligati al pagamento dell’imposta stessa e, se dovuta, della sanzione irrogata per omessa richiesta di registrazione.
Tra gli atti soggetti a registrazione d’ufficio, ove non siano presentati tempestivamente alla registrazione, figurano anzitutto gli atti pubblici, le scritture private autenticate e gli atti degli organi giurisdizionali.
Per la categoria delle scritture private non autenticate la norma prevede che la registrazione possa essere eseguita d’ufficio, previa riscossione dell’imposta dovuta quando le scritture in parola siano: 1) depositate presso pubblici uffici o 2) quando l’amministrazione finanziaria ne sia venuta legittimamente in possesso in base ad una legge che autorizzi il sequestro o ne abbia avuto visione nel corso di accessi, ispezioni o verifiche eseguiti ai fini di altri tributi.
Secondo un determinato orientamento della Cassazione a sezioni unite, inoltre, per “atto” deve intendersi non il negozio giuridico racchiuso nel documento, ma il documento stesso.
Ne deriva, secondo la Cassazione, che non è sufficiente, perché sorga il diritto dell’Amministrazione alla percezione dell’imposta di registro, che vi sia la certezza storica di un atto per iscritto e soggetto a registrazione in termine fisso, ma si richiede il possesso del documento come “scrittura privata non autenticata”.
C’è chi ritiene in proposito che il principio enunciato in sentenza risulti ancora attuale, cosicché sembrerebbe inidonea a integrare il presupposto della registrazione d’ufficio di cui all’art. 15, lettera b) la “visione” di una fotocopia della scrittura privata non autenticata.
Di diverso avviso su quest’ultimo punto è l’amministrazione finanziaria, la quale, sulla base del disposto dell’art. 2719 c.c., ha affermato che le copie fotostatiche hanno la stessa efficacia delle autentiche, ove il contribuente ne abbia assunto espressamente la paternità.
L’art. 15 del TUR prevede la possibilità di registrare d’ufficio, in mancanza della richiesta dei soggetti obbligati, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, in difetto di prova diretta, solo i contratti verbali soggetti a registrazione in termine fisso, di cui alle lettere a) e b) dell’art. 3 del TUR, ovverosia i contratti di locazione o di affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite e i contratti di trasferimento e di affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite.
In particolare, ai sensi dell’art. 15, lettera d) l’esistenza di un contratto verbale di trasferimento o di affitto di aziende situate nel territorio dello Stato o di costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse, può essere desunta da cambiamenti nella ditta o nell’insegna o nella titolarità dell’esercizio, oltreché da altre presunzioni gravi, precise e concordanti.
Lo stesso articolo 3, al secondo comma, fa però salva la possibilità di assoggettare a registrazione per enunciazione, in presenza delle condizioni di cui all’art. 22, i contratti verbali diversi da quelli sin qui menzionati.
Ciò significa che in aggiunta all’elencazione tassativa del comma 1, dell’art. 3 del TUR, il comma successivo prevede che la tassazione degli altri contratti verbali (diversi da quelli comprendenti immobili ed aziende e quindi non soggetti a registrazione all’atto della loro formazione) possa avvenire solo in caso di enunciazione.

I soggetti passivi dell’imposta
Secondo l’art. 10 del TUR sono obbligati a richiedere la registrazione:
a) le parti contraenti per le scritture private non autenticate, per i contratti verbali e per gli atti pubblici e privati formati all’estero, nonché i rappresentanti delle società o enti esteri, ovvero uno dei soggetti che rispondono delle obbligazioni delle società o ente, per le operazioni di cui all’art. 4; b) i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica amministrazione e gli altri pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati;
c) i cancellieri e i segretari per le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni;
d) gli impiegati dell’amministrazione finanziaria e gli appartenenti al Corpo della guardia di finanza per gli atti da registrare d’ufficio a norma dell’articolo 15.
In materia di imposta di registro la responsabilità per il versamento del tributo rinviene la propria regolamentazione nell’art. 57 del TUR a tenore del quale, oltre ai pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto a autenticato l’atto ed ai soggetti nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta i contraenti, le parti in causa, e coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere gli atti e le denunce.
La solidarietà per il pagamento del tributo, inoltre, si estende agli agenti immobiliari, relativamente alle scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività, all’utilizzatore dell’immobile concesso in locazione finanziaria, anche da costruire o in corso di costruzione, per il contratto concluso dal locatore.
Le deroghe alla regola della solidarietà sono previste dalla stessa disposizione normativa che la esclude per quanto attiene all’imposta complementare dovuta per un fatto imputabile ad una delle parti di cui risponde solo quest’ultima e per i contratti in cui figura lo stato nei quali obbligata al pagamento dell’imposta è unicamente l’altra parte contraente, salvo si tratti di imposta dovuta per atti presentati volontariamente per la registrazione da amministrazioni dello stato.
Fanno eccezione, altresì, gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso o volontariamente dal momento che l’obbligo di versare l’imposta grava esclusivamente su chi ha richiesto la registrazione.
Gli ultimi due casi di esclusione della natura solidale dell’obbligazione tributaria sono rappresentati dagli atti cosiddetti plurimi e da quelli di espropriazione per pubblica utilità o, comunque, di trasferimento coattivo della proprietà.
In relazione al principio di solidarietà passiva del pagamento dell’imposta di registro si richiamano alcune interessanti decisioni della Corte di Cassazione.
La prima stabilisce, in materia di agevolazione “prima casa”, la solidarietà tributaria in capo al venditore nell’ipotesi in cui la parte acquirente sia incorsa nella decadenza dai benefici fiscali dovuti a circostanze non imputabili, in via esclusiva, ad un suo determinato comportamento (Cass. Civ. Sez. V, 30.11.2016, nr. 24400).
Una seconda pronuncia, riguardante gli effetti della sentenza sui coobbligati, ha affermato che “la regola di cui all’art. 1306, comma 2, c.c., secondo cui i condebitori in solido hanno la facoltà di opporre al creditore la sentenza pronunciata tra questi e uno dei condebitori, trova applicazione soltanto nel caso in cui la sentenza suddetta sia stata resa in un giudizio cui non abbiano partecipato i condebitori che intendano opporla” (Cass. Civ. Sez. V, 12.10.2016, nr. 20533).
La terza sentenza afferma che “In tema di imposta di registro è legittima la notificazione dell’avviso di liquidazione effettuato dall’Amministrazione finanziaria nei confronti del notaio che ha registrato l’atto essendo lo stesso, ai sensi dell’art. 57 del D.P.R. nr. 131 del 1986, obbligato al relativo pagamento in solido con i soggetti nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, mentre l’Amministrazione ha la facoltà di scegliere l’obbligato al quale rivolgersi, senza essere tenuta a notificare l’avviso anche agli altri. Il pagamento effettuato dal notaio comporta, inoltre, la definizione del rapporto tributario anche nei confronti dei predetti soggetti, i quali non possono chiedere il rimborso dell’imposta, dovendosi presumere che siano stati informati della notifica ed abbiano deciso di non impugnare l’avviso di liquidazione, ma, eventualmente hanno titolo per far valere le proprie ragioni opponendosi all’azione di regresso o di rivalsa del coobbligato adempiente” (Cass. Civ. Sez. V, 13.04.2016, nr. 7241).
Gli atti dell’autorità giudiziaria
Secondo l’art. 37 del TUR “gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l’atto di conciliazione giudiziale e l’atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l’Amministrazione dello Stato”.
Il termine per la restituzione dell’imposta pagata in eccedenza decorre, quindi, dal passaggio in giudicato della sentenza.
E’ significativa la pronuncia della Corte di giustizia dell’1 luglio 2010, causa C-35/09, Min. Economia e Finanze e Agenzia Entrate c. Speranza, con la quale è stata dichiarata la contrarietà al diritto dell’Unione dell’art. 38 del TUR (che dispone l’irrilevanza della nullità o dell’annullabilità dell’atto ai fini dell’esigibilità dell’imposta, consentendone il rimborso soltanto a seguito di sentenza civile passata in giudicato) in quanto essa restringe, dinnanzi ai giudici tributari, i mezzi di prova finalizzati a dimostrarne l’insussistenza del presupposto dell’imposta sui conferimenti.
Si osserva infine che, a norma dell’art. 77 del TUR, “il rimborso dell’imposta, della pena pecuniaria e degli interessi di mora deve essere richiesto, a pena di decadenza, dal contribuente o dal soggetto nei cui confronti la sanzione è stata applicata, entro tre anni dal giorno del pagamento ovvero, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione”.
Imposta principale, suppletiva e complementare
A norma dell’art. 42 del TUR “E’ principale l’imposta applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall’ufficio se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione in via telematica; è suppletiva l’imposta applicata successivamente se diretta a correggere errori od omissioni dell’ufficio; è complementare l’imposta applicata in ogni altro caso”.
Determinazione della base imponibile, con specifico riferimento ai beni immobili e alle aziende
Le regole generali in tema di valutazione ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro sono contenute, salvo le norme specifiche dettate per singole fattispecie, negli articoli 43 e 51 del TUR.
In questi articoli si legge che:
“la base imponibile è costituita, per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali, dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto” (art. 43, comma 1, lett. a) TUR);
“si assume come valore dei beni o dei diritti quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto” (art. 51, comma 1, TUR).
Al cospetto dei beni immobili queste regole vanno inoltre “filtrate” attraverso le seguenti considerazioni:
a) il valore dei beni immobili è il loro “valore venale in comune commercio” (art. 51, comma 2, TUR);
b) il “valore venale” dichiarato nell’atto sottoscritto alla registrazione può essere rettificato dall’Ufficio (qualora esso ritenga che i beni in questione abbiano “un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito” – art. 52, comma 1, TUR) – “avendo riguardo” – art. 51, comma 3, TUR:
- ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto (o alla data in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo), che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni; ovvero:

  • al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari; nonché:
  • ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai Comuni;
    c) non possono essere “sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarata in misura inferiore” (art. 52, comma 4, TUR).
    L’articolo 35, comma 23 ter, D.L. 4 luglio 2006, nr. 223 (introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, nr. 248), ha introdotto il nuovo comma 5 bis all’articolo 52 del TUR, secondo il quale “Le disposizioni dei commi 4 e 5 non si applicano relativamente alle cessioni di immobili e relative pertinenze diverse da quelle disciplinate dall’art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, nr. 266 e successive modificazioni”.
    Per effetto dunque del disposto di detto articolo 1, comma 497, legge 23 dicembre 2005, nr. 266, in caso di contratto a titolo oneroso avente per oggetto il trasferimento di una abitazione a una o più persone fisiche che non agiscano nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, la parte acquirente può richiedere al notaio rogante che la base imponibile, ai fini dell’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, sia costituita dal prodotto che si ottiene (da qui la denominazione di questa regola come “principio del prezzo-valore”) moltiplicando la rendita catastale per i noti coefficienti di aggiornamento, indipendentemente dal corrispettivo dichiarato nel contratto.
    Nel caso in cui manchi la richiesta di applicazione del cosiddetto regime del “prezzo-valore”, la base imponibile, ai fini dell’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, è costituita dal valore dichiarato oppure dal corrispettivo dichiarato in atto.
    Si tratta, a questo punto, di stabilire che cosa si intenda per “valore catastale”.
    Per “valore catastale” di un bene immobile si intende, il valore che si ricava moltiplicando la sua rendita, attribuita dal catasto, per determinati coefficienti di aggiornamento.
    E’ evidente che la norma sulla valutazione automatica non rappresenta certo un metodo di valutazione, bensì un limite ai poteri di accertamento, fermo restando che questi poteri rimangono utilizzabili in tutta la loro ampiezza se si tratta di ricercare la parte di prezzo occultata rispetto a quanto formalmente dichiarato nei contratti.
    In altri termini la “valutazione automatica” non esime dal dichiarare il prezzo realmente pattuito, il cui occultamento è un comportamento gravemente evasivo.
    Quindi, oggi, il sistema di valutazione con l’utilizzo delle rendite catastali permane, di regola, solo nel perimetro dell’applicabilità del sistema “prezzo valore”, mentre si torna al vecchio sistema della rettificabilità da parte dell’Ufficio del prezzo/valore dichiarato in ogni altro contratto di trasferimento di immobili.
    Cessione di azienda
    Dal quadro normativo di riferimento, si evince che ai fini dell’imposta di registro la base imponibile è data dal valore venale in comune commercio dell’azienda determinato con riferimento al valore complessivo dei beni, compreso l’avviamento, e dedotte le passività inerenti il complesso aziendale trasferito (art. 51, comma 4, TUR); passività che, peraltro, potrebbero essere imputate a diversi beni rientranti nel complesso aziendale e in proporzione al loro valore, se in atto le parti pattuissero corrispettivi distinti per la cessione dei singoli beni o diritti che compongono il complesso aziendale, in conformità a quanto previsto dall’articolo 23, comma 4, TUR.
    Con una recente decisione la Suprema Corte sembra riconoscere espressamente che le passività aziendali trasferite devono essere portate in diminuzione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro, purché si tratti di passività inerenti l’azienda e, cioè, a questa “direttamente” e “funzionalmente” connesse (Cass. Civ. Sez. V,27.01.2017, nr. 2048).
    Tale conclusione, però, non fuga i dubbi sul tema; il problema della rilevanza delle passività aziendali, nell’ambito della tassazione della cessione di azienda, rimane tuttora irrisolto soprattutto perché, dall’esame delle varie pronunce dei giudici di legittimità, non emerge chiaramente il discrimen tra debiti relativi all’esercizio dell’azienda ceduta, qualificabili in termini di “passività” inerenti il compendio aziendale, e debiti non inerenti e, perciò, non rilevanti ai fini del computo della base imponibile del tributo di registro (ex multis: Cass. Civ. nr. 10218/2016; Cass. Civ. nr. 24081/2015; Cass. Civ. nr. 23873/2015).
    L’imposta di registro sui contratti di locazione
    L’Agenzia delle Entrate, con la circolare nr. 27/E del 13 giugno 2016, ha fornito chiarimenti su alcune problematiche in tema di solidarietà nella registrazione del contratto di locazione, sorte successivamente all’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016.
    La modifica normativa introdotta con la legge di Stabilità 2016 alla disciplina delle locazioni ad uso abitativo, non ha variato la disciplina fiscale prevista, ai fini dell’imposta di registro per i contratti di locazione.
    E’ previsto l’obbligo a carico del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione nel termine perentorio di 30 giorni dalla data della sua stipula; di tale registrazione il locatore deve dare “documentata comunicazione”, nei successivi 60 giorni, al conduttore nonché all’amministratore del condominio.
    Restano quindi obbligati all’adempimento della registrazione, in via solidale, in base al combinato disposto degli artt. 17 e 57 del TUR, ed al pagamento della relativa imposta, oltre che il locatore, anche il conduttore dell’immobile, ovvero l’agente immobiliare, qualora si tratti di contratti conclusi a seguito della loro attività.
    Atti di ricognizione del debito
    In ambito fiscale, in particolare per quanto concerne l’imposta di registro, la figura della ricognizione di debito non è normata in modo specifico.
    L’Agenzia delle Entrate applica l’imposta di registro nella misura del 3%, ai sensi della norma residuale contenuta nell’art. 9 della Tariffa, Parte I, allegata al TUR, che ricomprende “Atti diversi da quelli altrove indicati aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
    La recente giurisprudenza di legittimità segue una diversa teoria, fondata sulla natura dichiarativa della ricognizione di debito.
    In particolare, si è ritenuto che la norma di riferimento per l’individuazione del corretto trattamento fiscale, ai fini dell’imposta di registro, della ricognizione di debito sia quella contenuta nell’art. 3 della tariffa, parte I, allegata al TUR che, per tale specie di atti, prevede l’applicazione dell’aliquota dell’1%.
    Una parte della giurisprudenza di merito, invece, ritiene che la fattispecie in esame integri gli estremi di un atto avente ad oggetto crediti/debiti o una quietanza e, in quanto tale, è improduttivo di incremento patrimoniale, conseguentemente esso deve essere assoggettato all’imposta di registro nella misura dello 0.50%, ai sensi dell’art. 6 della Tariffa, parte I, allegata al TUR.
    Infine, secondo autorevole dottrina, il riconoscimento di debito, non apportando alcuna innovazione rispetto all’obbligazione contratta, è privo di contenuto patrimoniale; esso, avendo portata “puramente dichiarativa”, è soggetto ad imposta fissa di registro.
    Peraltro, tale dubbio (misura fissa o proporzionale dell’imposta), dovrebbe riguardare i soli atti di ricognizione del debito che traggono la loro fonte da operazioni non soggette ad IVA.
    Se invece le operazioni sottostanti sono risultate soggette ad IVA, dovrebbe applicarsi l’imposta di registro in misura fissa, per il principio della alternatività tra IVA e imposta di registro (ex art. 40 TUR).