L'IVA nell'ambito comunitario

Il processo di armonizzazione delle legislazioni fiscali europee si è concretizzato con l’adozione della Direttiva nr. 77/388 del 17 maggio 1977, più nota come “VI direttiva”, che ha costituito la base di riferimento per l’attuazione di una tassazione uniforme in tutti gli stati membri.
La VI direttiva ha dettato regole precise in materia di individuazione del soggetto passivo, della determinazione della base imponibile, delle esenzioni, del debitore dell’imposta, degli obblighi del contribuente, nonché dei regimi speciali per taluni settori economici.
Da ultimo, con la Direttiva 2006/112/CE dell’11 dicembre 2006, la VI direttiva è stata sostanzialmente riscritta, ai soli fini di chiarezza e razionalizzazione per tener conto delle diverse modifiche intervenute nel corso degli anni.
Rivalsa e detrazione a garanzia della neutralità fiscale
Secondo la costante giurisprudenza dell’Unione, le caratteristiche essenziali dell’IVA sono quattro: 1) si applica in modo generale alle operazioni aventi a oggetto beni e servizi;
2) è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo quale controprestazione di beni o servizi forniti;
3) viene riscossa in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero delle operazioni effettuate in precedenza; gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi del processo sono detratti dall’imposta dovuta, cosicchè il tributo si applica, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa, e in definitiva il peso dell’imposta grava sul consumatore finale (Corte di Giustizia: sentenze: 28.10.2010, C-49/09, Commissione/Polonia; 15.01.2009, C-502/07, K-1; 23.04.2009, C-426/07, Krawczynski; 11.10.2007, cause riunite C-283/06 e C/312/06, Kogaz).
L’IVA si atteggia, dunque, secondo quanto sancito dal diritto comunitario, come un’imposta generale sul consumo di beni e servizi che, attraverso il sistema delle rivalse e delle detrazioni, persegue l’obiettivo di operare un prelievo definitivo sul consumatore fiscale.
Nella operazione imponibile si distinguono tre rapporti: 1. Tra amministrazione finanziaria e cedente, relativamente al pagamento dell’imposta; 2. Tra cedente e cessionario, in ordine alla rivalsa; 3. Tra amministrazione e cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa.
Per costante giurisprudenza della Corte Suprema, in tema di IVA, i tre rapporti che discendono dal compimento dell’operazione imponibile, pur essendo collegati non interferiscono tra di loro.
Ne consegue che:
- il cedente non può opporre al cessionario – il quale agisca nei suoi confronti per la restituzione dell’indebito – l’avvenuto versamento dell’imposta;
- il cessionario non può opporre all’amministrazione – che escluda la detrazione dell’imposta erroneamente liquidata in fattura – che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima;
- solo il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Cass. Civ. 4020/2012; Cass. Civ. 14933/2011).
Secondo l’orientamento della Cassazione, invero, il rapporto di natura privatistica tra cedente e cessionario (che dà luogo alla giurisdizione dell’Ago, venendo meno la connotazione tributaria del rapporto controverso) si configura laddove il cessionario rivesta la posizione di “consumatore finale”, e cioè si identifichi nel soggetto definitivamente inciso dalla imposta (Cass. Civ. 1147/2000 e 2686/2007), diversamente riemergendo il rapporto tributario – con conseguente legittimazione del soggetto cessionario ad agire nei confronti dell’Amministrazione finanziaria – tutte le volte in cui l’IVA, indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni o servizi destinati all’esercizio dell’attività economica, venga a riflettersi sulla liquidazione finale dell’imposta, esposta nella dichiarazione annuale del contribuente, qualora il Fisco contesti, in tutto o in parte, che l’IVA versata in rivalsa non poteva essere portata in detrazione (o se eccedente, non poteva essere esposta a credito), in quanto relativa a operazione esente o non imponibile, ovvero in quanto assoggettabile a una aliquota inferiore rispetto a quella indicata erroneamente in fattura (Cass. Civ. 18245/2012; 14233/2011 e 20752/2008).
La Corte di Giustizia Europea, Terza Sezione, ha emesso l’11 aprile 2013 - nr. C-138/12 - una importante sentenza in materia di rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto, affermando i due seguenti principi di diritto:

  • Il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, quale concretizzato dalla giurisprudenza relativa all’articolo 203 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che, in base ad una disposizione nazionale intesa a recepire detto articolo, l’amministrazione tributaria neghi al fornitore di una prestazione esente il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto fatturata per errore al suo cliente, in quanto tale prestatore non ha rettificato la fattura erroneamente redatta, mentre l’amministrazione ha definitivamente negato a tale cliente il diritto di detrarre detta imposta sul valore aggiunto, comportando tale diniego definitivo che il regime di rettifica previsto dalla legge nazionale non è più applicabile.
  • Il principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, quale concretizzato dalla giurisprudenza relativa all’articolo 203 della direttiva 2006/112, può essere invocato da un soggetto passivo al fine di opporsi ad una disposizione del diritto nazionale che subordina il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto fatturata per errore, alla rettifica della fattura erroneamente redatta, mentre il diritto di detrarre detta imposta sul valore aggiunto è stato definitivamente negato, comportando tale diniego che il regime di rettifica previsto dalla legge nazionale non è più applicabile.
    Sulla base dei principi europei, secondo la Corte di Cassazione, la scadenza del termine biennale previsto per l’azione di rimborso di diritto tributario, non impedisce l’esercizio del diritto del soggetto passivo ad ottenere dall’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA (Cass. Civ. 12666/2012).
    La falcidia Iva
    Con la sentenza nr. 26988 del 27 dicembre 2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno statuito il seguente principio di diritto, probabilmente nell’intento di rendere più accessibili i concordati con scarse risorse a disposizione da destinare al Fisco: “la previsione dell’infalcidiabilità del credito Iva, di cui all’art. 182 ter legge fall. Trova applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale”.
    La Corte di giustizia UE, con la sentenza del 7 aprile 2016 – causa C. 546/14 -, aveva decretato la compatibilità, rispetto alla normativa europea sull’Iva, della legge fallimentare italiana che prevede la falcidia dell’Iva.
    Un imprenditore in stato di insolvenza poteva presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponeva di pagare solo parzialmente un debito dell’imposta sul valore aggiunto attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non avrebbe ricevuto un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.
    Dunque lo sdoganamento della falcidiabilità dell’Iva era stato ancorato dalla Corte di Giustizia ad un giudizio di obiettivo miglior realizzo dell’attivo concordatario rispetto alla liquidazione fallimentare.
    Questo valeva ovviamente per tutti i concordati, con e senza transazione fiscale.
    Ora però che le Sezioni Unite hanno stabilito che l’Iva non è falcidiabile solo con la transazione fiscale, sorgono alcune questioni:
    - conformità ai principi comunitari;
    - disparità di trattamento rispetto agli imprenditori sottosoglia (e i professionisti) sovraindebitati, per i quali l’Iva non è mai falcidiabile in quanto gli stessi non hanno accesso al concordato preventivo (Legge nr. 3/2012); dunque l’imprenditore sottosoglia mai potrà proporre un accordo con falcidia dell’Iva, mentre il soprasolglia sempre (senza transazione fiscale, naturalmente), e questo a prescindere dalla condizione di miglior realizzo della posta per Iva nel concordato rispetto al fallimento;
    - praticabilità degli accordi con il fisco
    La prescrizione in materia di Iva – la sentenza Taricco
    Con la nota sentenza “Taricco”, emessa l’8 settembre 2015 in causa C-105/14, la Grande Camera della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, rispondendo a quesiti pregiudiziali sottoposti alla sua attenzione ed evidenziando che la disciplina italiana in materia di prescrizione (con particolare riferimento alle regole di cui agli artt. 160 e 161 c.p.) poteva di fatto comportare la sistematica impunità delle frodi Iva – con conseguente lesione degli interessi finanziari non solo dell’Italia ma anche dell’Unione – ha richiesto al Giudice nazionale, in forza del principio di supremazia del diritto “comunitario” su quello interno, di disapplicare, nell’ambito dei reati fiscali aventi ad oggetto frodi gravi, il combinato disposto degli artt. 160 e 161 c.p. al fine di rispettare gli obblighi imposti dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE (che impegna gli Stati membri a “lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive”).
    Tale pronuncia ha innescato un vivace dibattito interpretativo in quanto i giudici del Lussemburgo non hanno fornito alcuna indicazione sulla soglia minima di gravità, in presenza della quale scatta l’obbligo di disapplicare le suddette norme, né su quando in concreto ritenere che la normativa nazionale in materia di prescrizione comporti l’impossibilità di colpire con sanzioni effettive un numero considerevole di casi, lasciando così il giudice penale italiano senza alcuna guida nell'esercizio della propria discrezionalità.
    Al contempo, ha indotto la Corte d’Appello di Milano e la stessa Corte di Cassazione (v. rispettivamente ord. 18.09.2015, nr. 6421; ord. 30.03.2016, nr. 28346 e 31.03.2016, nr. 33538) a sollecitare l’intervento della Corte Costituzionale, ritenendo che quanto statuito attraverso la sentenza Taricco poteva in realtà mettere gravemente in discussione i principi cardine del nostro ordinamento costituzionale, invocando peraltro il ricorso alla teoria dei “controlimiti”.
    Con l’ordinanza nr. 24 del 26 gennaio 2017 la Consulta, optando per una soluzione “diplomatica”, ha deciso di rinviare in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia la questione, chiedendo in sostanza di avallare la lettura “costituzionalmente conforme” proposta dalla sentenza dell’8 settembre 2015 che, se confermata, consentirebbe di superare i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dai giudici italiani rimettenti.
    In estrema sintesi, la Corte di Giustizia è sollecitata a chiarire se l’art. 325, paragrafi 1 e 2 del TFUE “debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di frodi gravi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato”:
  • anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata;
  • anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità;
  • anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona, riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro.
    (dalle Lezioni del Corso di Diritto e Giustizia Tributaria 2016/2017 - Università Statale di Milano - a cura diAvv. Giada Belardinelli, Dott. Mauro Finiguerra, Avv. Giovanni Galla, Avv. Stefano Giambra, Avv. Andrea Migliavacca e Avv. Ramona Tombini)