Accordi tra coniugi. Gli accordi pre-matrimoniali.

Si è parlato tanto della possibilità per le coppie italiane di stipulare prima del matrimonio, accordi per la disciplina futura delle condizioni economiche in caso di divorzio.
Sono accordi tra coniugi stipulati prima della celebrazione del matrimonio e/o comunque precedenti alla separazione/divorzio in cui le parti stabiliscono il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio; – cd. premarital agreements o prenuntial agreements - di matrice anglosassone molto in voga in America e in alcuni paesi europei, ma ritenuti inammissibili nel nostro ordinamento per contrarietà ai principi di ordine pubblico.
Questi accordi hanno la caratteristica di intervenire quando la crisi non è ancora in atto consentendo ai coniugi di gestire in via anticipata e consensuale loro rapporti patrimoniali evitando così che certi temi siano negoziati nel momento in cui il matrimonio è entrato già in crisi. Perciò sono parificati ad una convenzione matrimoniale che disciplina non solo l’aspetto fisiologico del matrimonio ma anche quello patologico.
In tal modo, sin da prima che il matrimonio entri in crisi, per effetto di tali convenzioni i coniugi potrebbero prevedere che, in sede di cessazione degli effetti del matrimonio, uno di essi attribuisca all'altro una somma di denaro periodica o una somma di denaro una tantum ovvero un diritto reale su beni immobili ovvero costituisca un vincolo di destinarne dei redditi di un immobile o di proventi al mantenimento dell’altro coniuge o al mantenimento della prole sino al raggiungimento dell'autosufficienza economica della stessa. Ovvero, si potrebbe costituire un patto che preveda la rinuncia di un futuro coniuge al mantenimento dell’altro, salvo il diritto agli alimenti.
Nel nostro ordinamento sono ammessi altri tipi di accordi che i coniugi possono stipulare:

  • accordi tra coniugi, anteriori o contestuali all'omologazione della separazione, oppure alla pronuncia presidenziale di cui all'art. 708 c.p.c., finalizzati a stabilire le linee di principio su cui verterà la futura separazione, ad esempio per risolvere anticipatamente alcune delle questioni concernenti le condizioni di separazione, come quelle relative alle proprietà comuni, ai trasferimenti immobiliari, o comunque relative all'ammontare dell’assegno di mantenimento, o (se contestuali alla separazione) finalizzati a risolvere questioni di natura fiscale che i coniugi ritengono opportuno non pubblicizzare;
  • accordi successivi concernenti accordi di dettaglio non contenuti nel verbale di omologazione, ovvero relativi a problemi emersi solo in fase di esecuzione degli accordi di separazione.
    La differenza tra gli uni e gli altri insomma, è che questi accordi, a differenza dei prenunzial agreements vengono stipulati quando la crisi matrimoniale è già in atto.
    La giurisprudenza, in una prima fase aveva ritenuto la illegittimità di tutti gli accordi  prematrimoniali perché siglati in violazione dell’art. 160 cod. civ., che sancisce la inderogabilità dei diritti e doveri connessi al vincolo matrimoniale.
    In sostanza veniva affermata l’indisponibilità degli status familiari e l’inderogabilità dei diritti a questi connessi, sostenendosi che solo il giudice, in sede di omologazione, è legittimato da un lato a riconoscere lo status di separato e, dall'altro, a pronunciare la sentenza di divorzio, costitutiva dello scioglimento del vincolo negoziale.
    Pertanto, gli accordi a latere precedenti, coevi o successivi ma non trasfusi nel decreto omologato, erano ritenuti illegittimi.
    Questa tesi restrittiva, si basa sulla concezione della natura pubblicistica dell’istituto del matrimonio e del principio di indisponibilità degli status nonché dello stesso assegno di divorzio, avente natura assistenziale come introdotta dalla legge di riforma n.74/1987.
    Veniva perciò negata validità tanto agli accordi antecedenti non trasfusi nel verbale di omologazione della separazione consensuale quanto agli accordi successivi allo stesso e modificativi delle condizioni in esso fissate, in quanto l’efficacia giuridica di tali intese doveva necessariamente presupporre la loro cristallizzazione nel provvedimento di omologazione del Tribunale. In tal senso, Cass. 5 gennaio 1984, n. 14, per gli accordi antecedenti; Cass., 13 febbraio 1985, n. 1208 per quelli successivi, per i quali si afferma che “gli accordi con cui i coniugi modifichino, anche se migliorandole, le condizioni relative al mantenimento del nucleo familiare, includente i figli minori, sono inefficaci se non vengono omologati dal Tribunale”.  Ancora: “sono nulli per illiceità della causa gli accordi con i quali i coniugi fissano in occasione della loro separazione il regime giuridico del futuro ed eventuale divorzio” (Cass. civ. 14.6.2000, n. 8109; Cass. civ. 4.6.1992, n.6857).
    In una fase successiva, la giurisprudenza abbandona la concezione pubblicistica che viene sostituita da quella c.d. privatistica, come attestato da due significative sentenze: Cassazione n. 2270 del 24 febbraio 1993 e n. 657 del 22 gennaio 1994.
    In particolare, secondo tale tesi:
  • i patti successivi all'omologa trovando fondamento nell'art. 1322 c.c., devono essere ritenuti validi ed efficaci “in quanto meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, indipendentemente dal procedimento di omologazione disciplinato dagli artt. 710 e 711 c.p.c., salvo gli invalicabili limiti contenuti nell'art. 160 c.c.;
  • i patti antecedenti o contestuali alla separazione consensuale omologata, e non trasfusi nel relativo verbale, al contrario, sono validi ed efficaci solo se non «non interferiscono» con quanto stabilito nell'accordo omologato, sempre previa verifica di rispondenza all'interesse tutelato, nel rispetto dei principi espressi nell'art. 158 cod. civ. (Cass., n. 7029/97; n. 5829/1998; da ultimo n. 8516/2006; n. 9174/08; n. 2997/09).
    Quanto all'accordo concluso sui profili patrimoniali tra i coniugi in sede di separazione legale ed in vista del divorzio, ad esempio, la previsione nel verbale di separazione del venir meno dell’assegno di mantenimento al momento di inizio della causa per la pronunzia della cessazione degli effetti civili del matrimonio, secondo la giurisprudenza non contrasta né con l’ordine pubblico, né con l’art. 160 (Tribunale di Torino 20.4.2012).
    Invero, la giurisprudenza, a seconda del contenuto dell’accordo, distingueva tra clausole che possono essere liberamente convenute e altre che invece sono più soggette al rispetto del limite stringente dell’art. 160.
    Si distingue tra:
    (i) un contenuto essenziale - c.d. convenzioni di diritto di famiglia, relative prevalentemente alla cessazione del dovere di convivenza e alla regolamentazione degli altri obblighi previsti dall’art. 143 c.c. (mantenimento del coniuge, sussistendone i presupposti; affidamento, educazione e mantenimento della prole;  l’assegnazione della casa familiare), che si discostano dai principi tipici dei rapporti contrattuali, in quanto l’autonomia dei coniugi è in certa misura limitata in virtù del superiore interesse della famiglia e della prole;
    (ii) un contenuto eventuale, attinente ad intese che esulano dagli elementi essenziali della separazione consensuale, in quanto sono semplicemente occasionate dalla crisi coniugale, e se hanno un contenuto prettamente patrimoniale, rientrano nei contratti atipici (c.d. contratti di separazione o della crisi) a cui si applica la relativa disciplina (art. 1322 c.c., in primis).
    Su tali assunti le sentenze affermano che “Sono da considerarsi valide, configurando contratti atipici e non convenzioni matrimoniali o atti di liberalità, le pattuizioni convenute dai coniugi prima del decreto di omologazione e non trasfuse nell’accordo omologato solo quando, in base ai principi stabiliti dall’art. 1362 ss., risultino tali da assicurare una maggiore vantaggiosità all’interesse protetto dalla norma ovvero concernano un aspetto non preso in considerazione dall’accordo omologato e sicuramente compatibile con questo o ancora costituiscano clausole meramente specificative dell’accordo stesso, non essendo altrimenti consentito ai coniugi incidere sull’accordo omologato con soluzioni alternative di cui non sia certa a priori la uguale o migliore rispondenza all’interesse tutelato attraverso il controllo giudiziario di cui all’art. 158 (T. Milano, 11.5.2009).
    La legge sul divorzio n. 898 del 1970, dopo le modifiche apportate dalla l. n. 74/1987, e successivamente la legge di riforma del diritto di famiglia privilegia il tipo di famiglia nucleare c.d. privatizzata e i principi di parità e solidarietà tra coniugi (artt. 2, 3, 29 Cost.), e riconosce perciò valore alla  volontà dei coniugi espressa negli accordi, sia nella fase fisiologica del rapporto – di scelta dell’indirizzo di vita familiare (art. 144 c.c.) e dell’amministrazione straordinaria dei beni della comunione (art. 180 c.c.) -, sia nella fase patologica di crisi coniugale.
    Tali normative perciò, riconoscono validità agli accordi in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto, tipiche espressioni della possibilità per i coniugi di regolamentare la crisi coniugale con accordi omologati.
    La legge n. 74/1987, di riforma della legge del 1970 che ha introdotto il procedimento di divorzio ordinario contenzioso, estende a questo le coordinate interpretative delineate per il procedimento di separazione dei coniugi, tanto in relazione all'assenza di poteri di intervento del giudice sugli accordi di contenuto patrimoniale inerenti ai rapporti tra i divorziandi, quanto nel senso dell’obbligo del giudice di «tener conto» dell’accordo dei coniugi sull’affidamento dei figli e sul contributo per il loro mantenimento (art. 6, co. 9, l. n. 898/1970, oggi sostituito dall’obbligo di «prendere atto» di siffatte intese, ex art. 155, co. 2, c.c., ai sensi dell’art. 4, cpv., l. 8 febbraio 2006, n. 54).
    Proprio perché il principio ispiratore della normativa è dato dal rispetto dell’autonomia negoziale dei coniugi, anche l’omologazione da parte del giudice degli accordi della separazione consensuale, come riformata dalla legge n. 151/1975, limita il controllo giudiziale ad un mero controllo di legittimità per verificare che l’intesa non sia illecita, fatta salva la verifica del prevalente interesse della prole.
    La salvaguardia dell’interesse della prole costituisce l’unico sostanziale limite, ex art. 711 c.p.c., entro il quale è consentito un penetrante sindacato del giudice, in sede di omologazione della separazione consensuale, rispetto alle scelte effettuate dai coniugi.
    In tale prospettiva la legge 8 febbraio 2006, n. 54, «Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli», introducendo l’istituto del c.d. affidamento condiviso, ha valorizzato ulteriormente i principi cardine della nuova concezione privatistica della famiglia.
    Il nuovo art. 155 c.c., in particolare, prescrive che il giudice debba prendere atto « [..] se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori», e, al comma quarto, prevede che i genitori provvedano al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito «salvo accordi diversi, liberamente sottoscritti dalle parti». Il giudice deve quindi «tener conto» dell’accordo dei coniugi sull'affidamento dei figli e sul contributo per il loro mantenimento (art. 6, c. 9, l. div.).
    Infine l’analogia tra gli accordi di separazione e di divorzio emerge con riferimento alla disponibilità del diritto all’assegno in favore del coniuge divorziato, anche quando venga preferita la liquidazione una tantum del predetto assegno(art. 5, co. 8, l. div. cit.), dietro verifica di equità da parte del tribunale.
    Quanto alla validità dei prenuntial agreements - accordi preventivi, in vista di una eventuale futura separazione o divorzio, la giurisprudenza, facendo leva sulla prospettiva pubblicistica di cui si è detto, riteneva la nullità di tali accordi per impossibilità o illiceità dell’oggetto e/o per illiceità della causa per violazione dell’art. 160 c.c., intesa come norma che sanciva la totale indisponibilità dei diritti e dei doveri che scaturiscono dal matrimonio, ed in particolare dello status coniugalis.
    Inoltre, la possibilità per i coniugi di revocare o modificare l’assegno post-matrimoniale, in forza dell’art. 9 l. 898 del 1970, era ritenuta una forma di tutela sufficientemente efficace da rendere superfluo il ricorso agli accordi pre-divorzio (Cass., 4 giugno 1992, n. 6857).
    Successivamente, la nullità di questi accordi è stata ancorata alla tutela della libertà delle parti nella scelta dello status matrimoniale oltre che al fondamentale diritto di difesa nel processo di divorzio: “gli accordi preventivi tra i coniugi sul regime economico del divorzio hanno sempre l’effetto, se non anche lo scopo, di condizionare il comportamento delle parti nel giudizio concernente uno status; in una sfera, cioè, in cui la libertà di scelta ed il diritto di difesa esigono invece di essere indeclinabilmente garantiti” (Cass. civ., 11 agosto 1992, n. 9494; Cass. civ., 28 ottobre 1994, n. 8912; Cass. civ., 7 settembre 1995, n. 9416; Cass. civ., 11 giugno 1997, n. 5244; Cass. civ., 20 marzo 1998, n. 2955); “gli accordi preventivi possono condizionare il comportamento delle parti non solo per i profili economici preconcordati ma - quando sono accettati in funzione di prezzo o contropartita per il consenso al divorzio - anche per quanto attiene alla volontà stessa di divorziare” (Cass. civ., 18 febbraio 2000, n. 1810).
    La dottrina maggioritaria, invece, si è mostrata favorevole a riconoscere validità a tali accordi, contestando le conclusioni cui era pervenuta la giurisprudenza e rilevando invece, come l’oggetto di tali accordi non è determinare lo status, ma regolare i rapporti economici che da questo discendono, nel rispetto della piena autonomia delle parti di optare per una soluzione transattiva della controversia, sempre che si tratti dei profili patrimoniali e non già degli status.
    In seguito, sotto tale ultimo specifico profilo, l’autonomia privata è stata riconosciuta, sia dalla legge “Cirinnà” – legge n. 76/16 -, che ha introdotto nell'ordinamento i “contratti di convivenza”, con cui le coppie non sposate possono regolamentare la propria vita comune, sia dalla disciplina dell’affidamento dei figli minori, se esistenti, e del loro mantenimento (art. 337-ter c.c.) .
    Anche a livello europeo si è assistito ad una  valorizzazione dell’autonomia privata nel settore del diritto di famiglia: il regolamento n°1259/2010 UE, in punto di giurisdizione e legge applicabile alla separazione e divorzio, ha introdotto la facoltà per i coniugi di scegliere, attraverso appositi accordi la legge applicabile alla separazione e divorzio, al fine di garantire la certezza del diritto e la deflazione del contenzioso giudiziario.
    Nel diritto interno vi è stata anche una proposta di legge - n. 2669 del 2014 - con cui si era tentato di introdurre i cd. prenuntial agreement.  La proposta prevedeva di aggiungere nel codice civile dopo l’art. 162 c.c. un successivo articolo 162- bis; in pratica, si proponeva di ampliare il contenuto delle convenzioni di cui all'art. 162 cod. civ. riconoscendo ai coniugi la possibilità di disciplinare, in qualsiasi momento, anche prima di contrarre il matrimonio, i loro rapporti patrimoniali anche nell'ottica di un’eventuale separazione personale ovvero di un eventuale divorzio. Per l’accordo e le modifiche o lo scioglimento della convenzione, si richiedeva la forma dell’atto pubblico redatto da notaio alla presenza di due testimoni.
    Attualmente i coniugi possono regolamentare convenzionalmente il loro regime patrimoniale scegliendo la comunione legale o la separazione dei beni – art. 162 codice civile -.