Assegno di mantenimento per i figli. Il figlio maggiorenne

Assegno di mantenimento per i figli. Il figlio maggiorenne

L’art. 337 ter cod. civ.  in tema di provvedimenti economici relativi ai figli in caso di separazione tra i genitori, prevede che ciascuno dei genitori (salvo diversi accordi tra di loro) è tenuto a provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito.
Il giudice stabilisce, quando necessario, la corresponsione di un assegno periodico che va determinato considerando:
– le esigenze attuali del figlio;
– il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori;
– i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
– le risorse economiche di entrambi i genitori;
– la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Il dovere di mantenimento gravante su entrambi i genitori è indipendente dalla separazione e impone di far fronte a molteplici esigenze dei figli, e non comprende soltanto l’obbligo alimentare, ma anche quello di attendere alle specifiche necessità di cura e di educazione sotto il profilo abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli lo richieda, di una organizzazione domestica stabile e dignitosa.
Il mantenimento quindi ha un contenuto ampio, tale da ricomprendere, nello specifico, sia le spese ordinarie della vita quotidiana (vitto, abbigliamento, ecc.) sia quelle relative all’istruzione e persino quelle per lo svago e le vacanze.
L’assegno di mantenimento, dovendo rispondere alle sopra riportate esigenze, “è determinato in una somma fissa mensile, in funzione delle esigenze rapportate all’anno” con la conseguenza che ne è previsto il versamento anche durante il periodo estivo, in cui il figlio trascorre parte del mese con il genitore obbligato (cfr., Cass. civ., ord. 2 aprile 2013, n. 7972), salvi diversi accordi dei genitori esplicitati in atti e/o statuizioni previste in provvedimenti che tengano conto dei diversi periodi di permanenza dei figli presso il genitore non collocatario.
La lettura combinata quindi degli artt. 30 Cost., 147, 315 bis e 337 septies c.c. porta a concludere che vi è un obbligo di mantenimento dei figli che permane oltre la maggiore età e un diritto del figlio ad essere mantenuto, fino a che, completata l’istruzione, possa avere gli adeguati strumenti per realizzare la propria indipendenza economica.
Il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta più il termine ultimo della corresponsione del mantenimento; il figlio ha diritto al mantenimento sino a che non raggiunga una autosufficienza economica che gli consenta di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, in correlazione al completamento di un fruttuoso percorso di studio.
Il criterio non è ancorato ad un limite di età; ma è interessante il provvedimento del Tribunale di Milano che statuisce che con il superamento di una certa età, "il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, semmai, meritevole dei diritti ex art. 433 c.c. ma non può più essere trattato come 'figlio', bensì come adulto". Ciò viene motivato sulla base del dovere di autoresponsabilità del figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché "l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione" (Cass. n. 18076/2014; Cass. SS.UU. n. 20448/2014). Tale obbligo, secondo la pronuncia del Tribunale di Milano è, "in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee" non può protrarsi dunque "oltre la soglia dei 34 anni", età a partire dalla quale "lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non - può - più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all'adulto", anche perché, si deve “escludere che la tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, com'è stato evidenziato in dottrina, in "forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani".
Recentemente, la giurisprudenza ha precisato che “Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza economica, ma anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858).
Quanto alla misura del mantenimento, la legge indica solo i criteri sopra elencati.
Sulla base dei criteri indicati dalla legge e dalla giurisprudenza alcuni Tribunali, anche a fini perequetavi, hanno elaborato dei prospetti o tabelle di calcolo:
il Tribunale di Firenze, insieme alla Facoltà di Economia, ha elaborato un Modello per calcolare l’assegno di mantenimento (MoCAM); il Tribunale di Palermo ha elaborato un software pubblico (scaricabile dal sito www.giustiziasicilia.it); il Tribunale di Monza, ha predisposto nel 2008 delle Tabelle (acquisite quale strumento di riferimento in numerosi fori) che riassumono le ipotesi più ricorrenti e le possibili risposte alle richieste di mantenimento formulate da parte di uno dei coniugi (sia per sé che per i figli).
Tali tabelle, in particolare, conducono ad un criterio di liquidazione «di massima» di un assegno pari all'incirca ad un quarto del presunto reddito dell’obbligato (in ipotesi di assegnazione della casa coniugale al coniuge richiedente) ovvero pari ad un terzo (nella più rara ipotesi di non assegnazione). Ovviamente il giudice deve aver valutato la situazione patrimoniale complessiva e soprattutto le spese a carico di ciascun genitore (si pensi al caso in cui gravi ancora un mutuo sulla casa coniugale).
Ad esempio, se al genitore collocatario della prole e assegnatario della casa coniugale non venga riconosciuto alcun assegno di mantenimento, la liquidazione del contributo al mantenimento dei figli potrà prevedere, in una situazione di reddito medio (operaio/impiegato: € 1.200,00 / 1.600,00 mensili per 13 o 14 mensilità) e sempre che non vi siano particolari condizioni da valutare (si pensi a proprietà immobiliari, depositi o conti correnti di una certa entità), una quantificazione dell’assegno di questo tipo:
– in presenza di un solo figlio: circa il 25 per cento del reddito;
– in presenza di due figli: 40 per cento del reddito;
– in presenza di tre figli: assegno pari al 50 per cento del reddito.
Si tratta, in ogni caso, di ipotesi esemplificative considerando che per la quantificazione dell’assegno di mantenimento dovuto ai figli, la capacità economica di ciascun genitore va determinata con riferimento al patrimonio complessivo di entrambi, costituito, oltre che dai redditi di lavoro, da ogni altra forma di reddito o utilità (come ad esempio il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le quote di partecipazione societaria, altri proventi di qualsiasi natura).
Il reddito da tenere in considerazione è comunque il reddito netto post imposte e dovranno essere tenute in considerazione le spese sopportate anche per canoni di locazione oltre alla spese necessariamente da detrarre, occorrenti per il mantenimento del genitore stesso (circa euro 300,00).