Contratto di affitto di azienda

L’affitto di azienda è il contratto con il quale il proprietario dell’azienda (affittante) si obbliga a far godere l’azienda ad altro soggetto (affittuario) a fronte del pagamento di un canone corrispettivo. L’affittuario deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni delle scorte.
L’art. 2555 c.c. definisce l’azienda come “il complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.
L’affitto è regolato dalla scarna norma dell’art. 2562 c.c., il quale si limita a prevedere che all’affitto d’azienda si applichino le medesime norme previste dall'art. 2561 c.c. in tema di usufrutto d’azienda; “L’usufruttuario dell’azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell’azienda, si applica l’art. 1015 [cessazione dell’usufrutto]. La differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’usufrutto”
La lacunosità della normativa impone da un canto, il riferimento alle norme sulla locazione e d’altro canto la necessità di regolamentare ogni aspetto molto attentamente nel contratto.
Tra gli obblighi dell’affittante c’è innanzitutto quello di consegna dell’azienda  In base all’art. 1617 c.c. il locatore è tenuto a consegnare la cosa, con i suoi accessori e le sue pertinenze, in stato da servire all’uso e alla produzione a cui è destinata.
Per converso, ha il diritto di controllare la gestione e conduzione e di effettuare controlli nella contabilità aziendale per monitorarne l’andamento: il locatore può chiedere la risoluzione del contratto se l’affittuario non destina al servizio della cosa i mezzi necessari per la gestione di essa, se non osserva le regole della buona tecnica, ovvero se muta stabilmente la destinazione economica della cosa (art. 1618 c.c.). Inoltre il locatore può accertare in ogni tempo, anche con accesso in luogo, se l’affittuario osserva gli obblighi che gli incombono (art. 1619 c.c.).
Il codice civile prevede all’art. 2557 c.c. il patto di non concorrenza: “Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta. Il patto di astenersi dalla concorrenza [2125, 2573] in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell'alienante. Esso non può eccedere la durata di cinque anni dal trasferimento [2596], Se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata non è stabilita, il divieto di concorrenza vale per il periodo di cinque anni dal trasferimento [1339]. Nel caso di usufrutto [978] o di affitto 1615] dell'azienda [2561, 2562] il divieto di concorrenza disposto dal primo comma vale nei confronti del proprietario o del locatore per la durata dell'usufrutto o dell'affitto. Le disposizioni di questo articolo si applicano alle aziende agricole solo per le attività ad esse connesse, quando rispetto a queste sia possibile uno sviamento di clientela”
Il contratto deve regolamentare il patto di non concorrenza in quanto non sempre è necessario introdurre l’obbligo ovvero si può prevedere una limitazione territoriale (non può esercitare aziende dello stesso tipo entro un limite territoriale).
L’affittuario ha invece l’obbligo di esercitare l’attività sotto la ditta che la contraddistingue, se il concedente vi ha acconsentito; provvedere alla conservazione dell’efficienza dell’organizzazione degli impianti e le normali dotazioni di scorte; non modificare la destinazione economica dell’azienda; pagare il corrispettivo dovuto e quindi corrispondere il canone nei tempi e con le modalità stabilite contrattualmente.
Durante la sua gestione l’affittuario può, salvo diversi limiti stabiliti contrattualmente, vendere beni aziendali, modificare o sostituire impianti, macchinari e attrezzature e può  intraprendere tutte quelle iniziative che ritenga opportune per aumentare il reddito purché non importino obblighi per il locatore o non gli arrechino pregiudizio, e siano conformi all'interesse della produzione (ex art. 1620 c.c.).
L’affittuario non può subaffittare la cosa senza il consenso del locatore. La facoltà di cedere l'affitto comprende quella di subaffittare; la facoltà di subaffittare non comprende quella di cedere l'affitto (art. 1624 c.c.).
Anche per le manutenzioni si applicano le regole sulla locazione: salvo patto contrario, il locatore è tenuto ad eseguire a sue spese, durante l’affitto, le riparazioni straordinarie. La manutenzione ordinaria è a carico dell’affittuario (art. 1621 c.c.).
Siccome non è sempre facile la distinzione è opportuna una dettagliata indicazione e regolamentazione nel contratto.
In applicazione dell’art. 2558 c.c., se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante.
La norma ha carattere suppletivo implicando che in contratto non deve essere previsto il patto contrario. Secondo Cass. n. 11967/2013 “Qualora le parti, nello stipulare un contratto di affitto di azienda, abbiano espressamente disciplinato le sorti del contratto di locazione dell'immobile nel quale è esercitata l'azienda, trova applicazione la disciplina della locazione, che espressamente regola la fattispecie, non operando, invece, il principio di successione automatica del cessionario nei contratti stipulati dal cedente, di cui all'art. 2558 cod. civ.”
Al termine dell’affitto, i contratti originari (posti in essere dall'affittante) eventualmente ancora in essere tornano in capo all'affittante con la restituzione dell’azienda, così come, in applicazione della stessa norma, l’affittante “succede” ne contratti stipulati dal'affittuario ancora esistenti al termine dell’affitto.
Quanto alla sorte dei debiti e crediti aziendali, all'affitto d’azienda non si applicano gli artt. 2559 e 2560 c.c. relativi ai debiti e crediti dell’azienda ceduta.
L’art. 2559 c.c. disciplina i Crediti relativi all'azienda ceduta “La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel Registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all'alienante
L’art. 2560 c.c. disciplina invece i Debiti relativi all’azienda ceduta “L’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Nel trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.”
Pertanto, in forza del’art. 2560, rispondono dei debiti anteriori al trasferimento d’azienda sia l’alienante (che non può ritenersi liberato) che l’acquirente (se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori). La norma non si applica all’affitto perché non è richiamata nel citato articolo delle ipotesi di affitto d’azienda.
Infatti, l’art. 2559 prevede all’ultimo comma che “Le stesse disposizioni si applicano anche nel caso di usufrutto dell'azienda [2561], se esso si estende ai crediti relativi alla medesima.”, mentre l’art. 2560 sui debiti non è richiamato per l’affitto. La dottrina maggioritaria sostiene quindi che dei debiti anteriori al contratto di affitto d’azienda risponda soltanto l’affittante; pertanto, dei debiti contratti in costanza di contratto risponde solo l’affittuario.
È comunque possibile che l’affittuario si accolli i debiti dell’affittante, ma in tal caso, ai sensi dell’articolo 1273 cod. civ., è necessario che vi sia l’adesione del creditore, il quale dichiari di liberare il debitore originario.
È necessario quindi disciplinare detti rapporti nel contratto.
Invece, è diversa e peculiare la disciplina per i rapporti di lavoro.
I rapporti di lavoro seguono l’azienda nel passaggio dal proprietario all’affittuario ed in quello successivo dall’affittuario all’affittante (ex articolo 2212, comma 2 e 5, del Codice civile).
La Corte di Cassazione (sentenza 20 aprile 1985 n. 2644) ha chiarito che il trasferimento implica per l’affittante la responsabilità solidale per tutti i debiti dell’affittuario verso i dipendenti e relativi a rapporti di lavoro, inclusi quelli di natura assicurativa e previdenziale. Questa responsabilità non è derogabile dalle parti con conseguente nullità di ogni patto contrario. Solo i lavoratori potranno infatti rinunciare alle loro tutele e liberare l’ex datore di lavoro in sede di procedure conciliative e sindacali.
Il contratto deve disciplinare necessariamente detti rapporti anche per quanto riguarda il prezzo perché occorre considerare eventuali sopravvenienze per pagamenti di Tfr o contributi o stipendi per il periodo anteriore al trasferimento.
Pertanto, sia dalla espressa previsione della solidarietà della responsabilità dell’affittante per i debiti verso i lavoratori che per il mancato rischiamo della norma sul subentro nei debiti nella disciplina dell’affitto si ricava l’estraneità dell'affittuario ai debiti verso generici creditori dell'azienda affittata.
Anche per quanto riguarda i debiti tributari non è prevista alcuna responsabilità dell'affittuario: l’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art. 14 del Dlgs 472/97 può coinvolgere nel recupero di imposta e di sanzioni l'acquirente dell'azienda, ma non l’affittuario che ne assume solamente la gestione e non la proprietà.
Gli artt. 66 e 80 D.P.R. 602/1973 in tema di imposte dirette, e l'art. 75 D.P.R. 633/72 per l'Iva prevedevano la responsabilità solidale in caso di cessione della proprietà dell'azienda, escludendo, quindi, il caso di trasferimento del godimento dell'azienda per un periodo di tempo determinato.
Per le imposte dirette, prima della riforma sanzionatoria di cui al d.lgs. 472/97, era prevista una responsabilità oggettiva per i debiti contratti dall'alienante, limitata al biennio antecedente la cessione, a carico del cessionario; mentre, in ambito Iva l'art. 19 della L. 19 gennaio 1929  n. 4 prevedeva che il successore a qualsiasi titolo per atto tra vivi in un'azienda commerciale o industriale era obbligato verso l'amministrazione finanziaria, in solido con il suo autore, per il pagamento dei tributi, soprattasse e pene pecuniarie applicate per la violazione delle norme concernenti i tributi relativi all'azienda, per l'anno in cui è stato effettuato il trasferimento e per i due anni precedenti. In tale fattispecie rientrava anche l'affittuario quale successore e quindi responsabile solidale del pagamento di tributi, sanzioni ed interessi per l'anno del trasferimento dell'azienda e per i due precedenti.
Con l'entrata in vigore della riforma sanzionatoria - d.lgs. 472/97 in materia di sanzioni tributarie - è stata abrogata ogni responsabilità solidale di cui al citato art. 19, incompatibile con l'innovato sistema sanzionatorio.
Peraltro, l'art. 3 del decreto legislativo vieta l'applicazione analogica a fattispecie non espressamente previste dal legislatore. Perciò, a maggior ragione si ritiene che l'art. 14 del d. lgs. 472/97 non sia applicabile al caso di affitto d'azienda e che anche in ambito tributario, parallelamente a quanto avviene in ambito civilistico in base agli art. 2559 e 2560 c.c., applicabili ai crediti e di debiti in sede di trasferimento di proprietà,dell’azienda (ad eccezione che per i debiti nei confronti dei lavoratori, non si realizzi alcuna solidarietà dell’affittuario per i debiti anteriori al trasferimento della gestione. A differenza di quanto avviene per la cessione dell’azienda.
Nell'affitto bisogna anche disciplinare espressamente le rimanenze di magazzino.
Perciò occorre redigere ed allegare al contratto un inventario analitico: infatti, alla scadenza del contratto, le rimanenze verranno restituite nella stessa quantità e pari valore, conguagliando l’eventuale differenza in denaro (assieme alle altre differenze inventariali).
Normalmente l’inventario comprende macchinari mentre invece le scorte di magazzino vengono vendute all’affittuario.
La differenza tra le consistenze dell’inventario all’inizio e al termine dell’affitto viene regolata in denaro, sulla base dei valori correnti a tale ultima data (art. 2561, comma 4 , c.c.).
Qualora dalla differenza emerga un incremento delle consistenze di inventario, salvo diversa pattuizione, potrà essere riconosciuto all’affittuario un conguaglio in denaro, che ai fini fiscali rappresenta una componente positiva di reddito assoggettata a tassazione come sopravvenienza attiva. Se invece dalla differenza emerga invece un decremento delle consistenze di inventario, il conguaglio dovrà essere corrisposto dall’affittuario al concedente: in tal caso, qualora il conguaglio sia superiore all’ammontare accantonato a fronte degli ammortamenti dedotti, l’affittuario realizzerà una sopravvenienza passiva deducibile dal proprio reddito d’impresa, mentre qualora il conguaglio sia inferiore l’affittuario realizzerà una sopravvenienza attiva tassabile.
Infatti, riguardo gli ammortamenti, questi possono essere dedotti dall’affittuario per il periodo di durata del contratto, ai sensi dell’art. 102, comma 8, del TUIR.
Poiché l’affittuario assume gli elementi patrimoniali dell’azienda ai medesimi valori fiscali riconosciuti in capo al concedente, le quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni quale risulta dalla contabilità del concedente e sono deducibili sino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato. Se il concedente non abbia regolarmente tenuto il registro dei beni ammortizzabili o gli altri registri consentiti dalla disciplina fiscale in sostituzione dello stesso, debbono essere considerate già dedotte, per il 50% del loro ammontare, le quote relative al periodo di ammortamento già decorso.
Le quote di ammortamento vengono dedotte dall’affittuario in relazione alla previsione dell’art. 2561 c.c. dell’obbligo dell’affittuario di conservazione del valore dell’azienda. Da tale obbligazione discendono conseguenze contabili: l'affittuario dovrà appunto stanziare accantonamenti annuali al fondo per il ripristino del valore dei beni, in modo da accantonare le somme che dovrà consegnare al concedente a fine contratto per remunerare la perdita di valore dell'azienda.
Se le parti derogano contrattualmente alla previsione dell’art. 2561 c.c. le quote di ammortamento continuano ad essere dedotte dal concedente. Da considerare che nel caso in cui il concedente perda la qualifica di imprenditore (se non ha altre aziende o non intraprende la gestione di un’altra azienda), lo stesso non potrà dedurre le quote di ammortamento.
Quando l’affittuario al termine del contratto abbia incrementato l’azienda, si potrebbe porre il problema della spettanza all’affittuario di un avviamento.
La giurisprudenza non è unitaria in tema di diritto dell’affittuario al compenso per l’incremento eventualmente apportato all’avviamento dell’azienda da lui condotta in quanto le norme prevedono solo la disciplina delle consistenze all’inizio e fine del rapporto. E’ perciò opportuno prevedere clausole contrattuali sul punto.
La cessazione e scioglimento del contratto possono avvenire ovviamente, come per tutti i contratti, per scadenza del termine se prevista una durata, o per recesso se il contratto è a tempo indeterminato o per recesso per giusta causa o ad nutum prima del termine (se previsto in contratto) o per risoluzione per inadempimento (artt. 1453 e 1456 c.c.).Il contratto di affitto di azienda deve essere redatto con atto pubblico (o scrittura privata autenticata) e depositato, per l’iscrizione nel Registro delle imprese, a cura del notaio rogante, nei 30 giorni successivi all’operazione. Si applica infatti l’art. 2556 co. 1 e 2 c.c., in tema di forma contrattuale e di obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese.
Va da sé che anche la risoluzione del contratto va fatta per scrittura autenticata o atto pubblico sempre per l’iscrizione della modifica e  scioglimento del contratto al Registro delle Imprese.