Forse non tutti sanno che la mancata stipulazione in forma scritta del contratto di locazione presenta rischi notevoli per il locatore e non tutti conoscono esattamente quali siano detti rischi.
L'art 1, 4 comma, L.431/1998 prevede l’obbligo della forma scritta ad substantiam per il contratto di locazione ad uso abitativo, pena la relativa nullità radicale (assoluta). Invero, il comma 4 dell’art. 1 di detta legge non prevede espressamente la nullità del contratto verbale, ma prescrive che: “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”
La norma viene interpretata nel senso di sanzionare di nullità assoluta del contratto verbale di locazione ad uso abitativo (cd. contratto di fatto, ovvero "in nero"), perciò parificando il contratto verbale ad un contratto inesistente in quanto la norma richiede la forma scritta.
La forma scritta in un contratto può essere richiesta ad substantiam (senza quella forma il contratto è inesistente) o ad probationem (cioè la forma è richiesta come mezzo di prova per dimostrare l’esistenza del contratto).
Sotto tale profilo, secondo la giurisprudenza si applica l’art. 1352 codice civile (requisiti del contratto) che prescrive che “in difetto di univoche prescrizioni, la forma deve intendersi imposta per la validità del contratto e cioè a pena di nullità piuttosto che ad probationem”.
La forma scritta è prescritta a pena di nullità solo per le locazioni abitative e per le ipotesi di cui all’art. 1350 n. 8 cod. civ., ossia per i contratti di locazione che originariamente prevedono una durata ultranovennale.
L’art. 1 comma 4 della legge 431/98 infatti, non si applica ai contratti di locazione per uso diverso dalla abitazione.
Non si può però concludere che per le locazioni ad uso diverso dalla abitazione – cioè per le locazioni commerciali - trovi applicazione il principio della libertà della forma.
E ciò in quanto devono stipularsi per iscritto:
1. le locazioni commerciali ultranovennali;
2. i contratti di locazione in cui è parte una Pubblica Amministrazione in forza dell’art. 1350 n. 13, cod. civ. che elenca “gli atti che devono farsi per iscritto a pena di nullità e che, al n. 13 prevede la forma scritta, a pena di nullità, “per gli altri atti specificamente previsti dalla legge”. E’ noto che le norme che disciplinano i contratti in cui è parte la P.A. prevedono, per l’appunto, detto requisito formale in considerazione del principio generale secondo cui la manifestazione della P.A., anche quando agisca iure privatorum (cioè come tutti gli altri soggetti privati), non può derivare per implicito o per fatti concludenti ma deve promanare attraverso le rigide forme richieste dalla legge (Cass.30/06/1998 n. 6406 - Cass. 04/11/2004 n. 21138).
Per tutti gli altri contratti ad uso diverso dall'abitativo - non menzionati sub 1 e 2 -, pur non essendo prevista la forma scritta a pena di nullità, non si può dire che viga, in generale il principio di libertà delle forma in quanto, è previsto che detti contratti devono essere stipulati per iscritto per effetto di altra norma che ne prescrive l’obbligo di registrazione. L’art. 1, co. 346 della legge 311/2004, prevede infatti l’obbligo di registrazione del contratto per entrambi i tipi di locazioni (abitative e non). La norma prevede testualmente: “i contratti di locazione o che, comunque costituiscono diritti relativi di godimento di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, sono nulli se ricorrendone i presupposti, non sono registrati”.
Non tutti i contratti di locazione vanno registrati, ma solo quelli la cui durata supera i trenta giorni. Il contratto di locazione di durata superiore a giorni trenta va registrato entro stretti termini (30 giorni dalla stipula e/o dalla decorrenza) pena l’applicazione di pesanti sanzioni.
Per la registrazione del contratto si chiede la produzione di documento scritto.
Perciò, la forma scritta, più che essere richiesta ad substantiam – come per le locazioni abitative -, viene, in tali casi richiesta per esigenze di pubblicità o fiscali. In tal caso, la necessità dell’atto scritto deriva dalla previsione legislativa dell’adempimento fiscale rappresentato dalla registrazione del contratto.
La norma però prevede la sanzione della nullità come conseguenza alla mancata registrazione.
Si è molto discusso di questa “nullità” in quanto, solo la mancanza dei requisiti essenziali di un contratto, a tenore del codice civile, può determinare la nullità dello stesso; mentre, l’adempimento fiscale non è un requisito del contratto richiesto dal codice civile. Anzi, la registrazione è un adempimento successivo che presuppone perfezionato il contratto.
La sanzione della nullità sarebbe perciò “atecnica” e stabilita al solo fine di contrastare l’evasione fiscale ed assicurare il pagamento del tributo.
Peraltro, si consideri che la legge 27/2/2000 n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del Contribuente), all’art. 10, co. 3, prescrive che “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.
Perciò, per spiegare questo tipo di nullità, si è utilizzato lo schema della condizione del contratto: la registrazione sarebbe perciò una mera condicio iuris del contratto di locazione, con efficacia sanante ex tunc. L’art. 1360 c.c. prevede il principio secondo cui “gli effetti dell’avveramento di una condizione retroagiscono al momento in cui è stato concluso il contratto”
Non si dubita ad ogni modo della sanzione della nullità perché confermato anche dalla Suprema Corte.
La Cassazione con ordinanza n. 20858, depositata il 6 settembre 2017, ha ribadito detto orientamento in tema di locazione immobiliare per uso non abitativo: «la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi dell'art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicità, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall'istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti "ex tunc" dalla tardiva registrazione del contratto stesso, implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l'esigenza di contrastare l'evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonché con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributaria con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 28/04/2017, Rv. 644006 - 01).
Secondo i Giudici di legittimità, dunque, la nullità del contratto di locazione ad uso non abitativo per violazione della legge che ne impone la registrazione ai fini fiscali, è sanabile con la registrazione stessa, benché tardiva, in ragione del principio di stabilità degli effetti negoziali voluti dalle parti e di non interferenza della normativa tributaria con quella civilistica.
La Cassazione ha precisato che «quella della nullità del contratto non registrato costituisce fattispecie differente rispetto a quella [...] che si determina in caso di pattuizioni volte a determinare un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, laddove sussista cioè tra le parti un vero e proprio accordo simulatorio in relazione all'entità del canone, onde ad essa non è comunque applicabile l'art. 13, comma 1, della legge 9 dicembre 1998 n. 431, invocato dal ricorrente, e riguardante esclusivamente tale diversa fattispecie».
Tenuto però conto del fatto che la legge 431/98 prevede espressamente, come visto, la nullità del contratto di locazione ad uso abitativo stipulato in forma verbale senza possibilità che la successiva registrazione possa avere una efficacia sanante, si deve concludere che, per quanto sopra, per le locazioni non abitative stipulate verbalmente, la registrazione condiziona la efficacia del contratto ma ha un effetto sanante (se registro il contratto, questo è valido ed efficace).
Le conclusioni non sarebbero di poco conto, perché si dovrebbe dire che per i contratti di locazione in cui la nullità è prevista a pena di nullità (locazioni abitative), in mancanza di forma scritta, il locatore non potrebbe neppure richiedere, per il tempo in cui l’immobile è stato occupato, il pagamento del canone. La nullità del contratto di locazione comporterà, infatti, che non sia esigibile il canone a fronte del dal godimento dell’immobile.
Rimane fermo che, in mancanza di un titolo valido che possa giustificare l’occupazione dell’immobile, poiché il conduttore è stato nel godimento dell’immobile in forza di un contratto nullo, quest’ultimo dovrà senz'altro essere condannato al rilascio dell’immobile occupato senza titolo (in giurisprudenza, v. Tribunale Reggio Calabria 2.12.02; Tribunale Milano 9.6.05; Tribunale Savona 13.8.05; Tribunale Mondovì 14.7.07; Tribunale Roma 16.6.11; Tribunale Civitavecchia 6.11.12).
Quindi, il locatore se è vero che non può richiedere i canoni, potrà, a fronte della illegittimità dell’occupazione, richiedere un indennizzo per il danno subito dalla occupazione.
La sua determinazione potrebbe essere effettuata dal Giudice sulla base di elementi presuntivi semplici con riferimento al c.d. danno figurativo e, quindi, al valore locativo del bene usurpato (v. a titolo esemplificativo, Cass. 8/5/2006 n. 10488; Cass. 11/2/2008 n. 3251; 11/3/2011 n.5028).
Secondo altra giurisprudenza invece, per la liquidazione dell’indennizzo da occupazione senza titolo dell’immobile è necessaria la dimostrazione della concreta ed attuale sussistenza di un danno, ossia la prova da parte del proprietario, di aver subito una lesione del proprio patrimonio, per non aver potuto, ad esempio locare l’immobile. La prova però, può risultare da presunzioni gravi, precise e concordanti, che sarà compito del Giudice individuare attraverso un percorso argomentativo e motivazionale congruo (v. Cass. 1/1/2005 n. 378; Cass. 17/6/2013 n. 15111).
La condanna del conduttore al pagamento dell’indennizzo non può aversi quando il proprietario dell’immobile abusivamente occupato si fosse intenzionalmente disinteressato della cosa mostrando, con tale comportamento, di non voler trarre le utilità che dalla stessa derivano (v. Cass. 7/8/2012 n. 1422)
Quindi, il locatore che non stipuli per iscritto la locazione corre un grosso rischio.
Così come è rischioso stipulare un patto verbale che comporti la corresponsione, da parte del conduttore, di una somma per canoni maggiore rispetto a quella risultante dal contratto scritto e/o registrato.
Infatti, l’art. 13 della l. 431/98 prevede la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato.
Perciò, la legge 431/98 sanzionava di nullità sia il contratto verbale (locazione di fatto/ in nero) sia il patto di un canone maggiore rispetto a quanto in contratto.
In tale secondo caso, al conduttore era concesso di esperire un’azione avanti al Tribunale competente volta a far accertare la esistenza del rapporto locativo, con pronuncia costitutiva ed efficacia retroattiva, con richiesta di determinazione del canone dovuto in misura non superiore a quello pattuito o previsto in contratto e condanna del locatore alla restituzione delle somme già versate in eccedenza.
Per favorire l’emersione del contratto “in nero”, la legge 23/2011 (che ha introdotto la cedolare secca per le locazioni di immobili ad uso abitativo) aveva introdotto il meccanismo “sanzionatorio” di determinazione del canone di locazione in misura pari al triplo della rendita catastale dell’immobile all'esito della denuncia/registrazione del contratto non effettuata in precedenza, nei termini previsti dall'art. 3, commi 8 e 9.
In particolare, l’art. 3 prevedeva ai commi 8 e 9: “Comma 8: Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti.” Comma 9. Le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ed al comma 8 del presente articolo si applicano anche ai casi in cui: a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio. Comma 10. La disciplina di cui ai commi 8 e 9 non si applica ove la registrazione sia effettuata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto."
Tale disposizione perciò, consentiva ai conduttori di ottenere una riduzione del canone di locazione per il caso di mancata registrazione del contratto nei termini di legge (30 giorni). Il conduttore con contratto di locazione ad uso abitativo non registrato poteva oltretutto chiedere al giudice la restituzione dell’importo dei canoni versati in misura superiore, a condizione che avesse provato che l'instaurazione del rapporto di fatto fosse stata pretesa dal locatore.
La disposizione è stata poi dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2014 con la conseguenza che i conduttori che, ai sensi delle disposizioni dichiarate incostituzionali, avevano versato il canone annuo di locazione nella misura allora legalmente imposta del triplo della rendita catastale, rischiavano di dover pagare al locatore per tale periodo, il canone pieno inizialmente pattuito.
Il legislatore perciò, ha dapprima previsto con la successiva legge 80/ 2014 (detta salva inquilini) una sanatoria per i contratti registrati sulla base della L. 23/2011, i cui effetti sono stati prorogati fino al 31.12 2015 e successivamente, con la legge di stabilità per l’anno 2016 ha previsto – modificando il comma 5 dell’art. 13 l. locazioni -, una sanatoria per i contratti ricadenti sotto la scure della dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme di cui all'art. 3 commi 8 e 9 del D.L.vo n.23/2011.
La legge di stabilità ha infatti fatto salvi, nell'interesse dei conduttori, gli effetti delle norme abrogate prevedendo che l’importo del canone di locazione dovuto o dell’indennità di occupazione maturata dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 23/2011 ai sensi delle disposizioni dichiarate incostituzionali, restava fermo a tale importo (triplo della rendita catastale dell’immobile) e pertanto, i locatori non potevano pretendere, per tale periodo, il canone pieno come pattuito.
Inoltre, sempre con la medesima legge di stabilità per l’anno 2016 (comma 59 dell’art. 1) è stata introdotta la norma generale per la quale compete al locatore la registrazione del contratto di locazione.
Una volta effettuata la registrazione al locatore spetterà all'onere di comunicare entro i successivi 60 giorni l'avvenuta registrazione del contratto sia al conduttore che all'amministratore condominiale (nel caso vi sia).
Pertanto, il legislatore ha addossato al solo locatore la responsabilità della mancata o tardiva registrazione del contratto e ne ha anche previsto le conseguenze:
a) innanzitutto, in caso di mancato versamento dell’imposta di registro, che pure compete a entrambe le parti, l’Agenzia delle Entrate potrà chiederne la corresponsione, con tanto di interessi e sanzioni, al solo locatore, dato che l’obbligo della registrazione ora grava solo su di lui;
b) se il locatore non provvede alla registrazione del contratto nel termine perentorio di 30 giorni dalla stipula, il conduttore può chiedere all'autorità giudiziaria, entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile, “che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 (per i contratti a canone libero) ovvero dal comma 3 dell’articolo 2 (per quelli a canone concordato).
In tali casi il Giudice, nell'accertare l’esistenza del contratto di locazione, “determina anche il canone dovuto, che non può eccedere quello del valore minimo definito ai sensi dell’art. 2 ovvero quello definito ai sensi dell’art. 5 commi 2 e 3” (contratti per studenti) e “stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti”.
Quindi, in pratica, la mancata (o tardiva) registrazione potrebbe comportare la riduzione, ad opera del Giudice, del canone di locazione al valore minimo del relativo canone agevolato.
Le sanzioni di cui al sesto comma potrebbero essere applicabili a tutti i contratti registrati oltre il termine di trenta giorni in base al combinato disposto dei novellati commi 1 e 6 dell’art. 13 novellato.
Inoltre, poiché comunque la legge ha posto a carico del locatore la registrazione, è evidente che il conduttore, nel giudizio per la rideterminazione del canone, non dovrà più provare (come accadeva prima) che il rapporto “in nero” fosse stato voluto dal locatore, ma dovrà provare solo l'ammontare del canone della locazione ad uso abitativo a nero, nonostante, ad esempio, fosse stato inizialmente d'accordo con il locatore.