La donazione è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte (donante) arricchisce l’altra (donatario), disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione.
Gli elementi essenziali della donazione sono:
- lo spirito di liberalità;
- l’arricchimento del donatario;
- la forma.
Quanto alla forma, la donazione è un contratto che deve essere concluso per atto pubblico alla presenza di due testimoni per l’importanza degli effetti sul patrimonio del donante, il quale deve essere, oltre che capace d’intendere di volere, pienamente consapevole dell’atto che sottoscrive e di tutte le conseguenze che ne derivano.
Non è necessario l'atto pubblico se la donazione è di modico valore con ciò intendendosi che abbia cioè ad oggetto beni mobili. L’art. 783 c.c. prevede che essa sia valida purché vi sia stata la traditio, cioè vi sia stata la consegna nelle mani del donatario. La consegna attesta perciò la volontà inequivocabile di donare.
La deroga alla necessità della forma è che il modico valore della donazione è innanzitutto inidoneo a recare pregiudizio a terzi ed inoltre la forma solenne avrebbe un costo sproporzionato rispetto al valore del bene.
Il modico valore si determina in base ad un criterio oggettivo, e cioè il valore economico del bene, e ad uno soggettivo che è previsto dalla norma: condizioni economiche del donante e la consistenza del suo patrimonio.
Tipici sono i doni tra fidanzati che la giurisprudenza ha riconosciuto non essere equiparabili «né alle liberalità in occasione di servizi, né alle donazioni fatte in segno tangibile di speciale riconoscenza per i servizi resi in precedenza dal donatario, né alla liberalità d'uso, ma costituiscono vere e proprie donazioni, come tali soggette ai requisiti di sostanza e di forma previsti dal codice. Peraltro, la modicità del donativo, da apprezzare oggettivamente in relazione alla capacità economica del donante, fa sì che il trasferimento si perfezioni legittimamente, tra soggetti capaci, in base alla mera traditio.» (in tal senso Cass. n. 1260/1994).
Assai comune, ma non certo classificabile “di modico valore” è la donazione di un immobile con riserva di usufrutto a vantaggio del donante: ciò significa che il donante si spoglia anticipatamente della proprietà del bene trattenendo per sé unicamente l’usufrutto, che si estinguerà automaticamente al momento della morte (o al termine stabilito). Il donante che si è riservato l’usufrutto avrà il godimento del bene, potrà viverci o darlo in locazione e ne sopporterà anche le spese ordinarie e le eventuali imposte.
La donazione è un atto soggetto a revocazione.
In particolare la donazione può essere revocata, come previsto all'art. 800 cod. civ. nei due casi di ingratitudine o per sopravvenienza di figli.
In particolare, è ammessa:
- per colpire casi di ingratitudine del donatario: cioè condotte del donatario particolarmente gravi commesse nei confronti del donante o del suo patrimonio (cfr. art. 801 cod. civ.);
- per tutelare la piena libertà di scelta del donante nel caso di sopravvenienza di figli: cioè qualora il donante abbia figli o discendenti ovvero scopra di averne successivamente alla donazione. La presunzione legale è che se il disponente, al tempo della donazione, avesse saputo che sarebbero sopravvenuti dei figli, ovvero avesse saputo di avere a quell'epoca figli, non avrebbe deciso di compiere il negozio di cui trattasi (cfr. art. 803 c.c.).
La norma prevede che il presupposto per il valido esercizio dell’azione è l’assenza di figli o discendenti al momento in cui l’atto di liberalità viene compiuto: la Corte di Cassazione ha statuito con pronuncia del 2 marzo 2017, che non è possibile esperire vittoriosamente l’azione di revocazione avverso una donazione avvenuta in un momento in cui già sussisteva prole, motivando tale richiesta in ragione della sopravvenienza di ulteriori figli e di un potenziale contrasto con l’articolo 3 della Costituzione per disparità di trattamento. Secondo la Suprema Corte non sussiste un contrasto tra l’articolo 803 del codice civile con l’articolo 3 della Costituzione, formulato sul presupposto che la previsione codicistica avrebbe determinato una ingiustificata disparità di trattamento tra figli nati in costanza del precedente matrimonio e il figlio nato dall'unione con una nuova compagna, in quanto la ratio della norma è quella di garantire un equo bilanciamento degli interessi dei soggetti coinvolti, tra questi anche quelli del donatario, la cui posizione non può essere sacrificata in qualsiasi caso di sopravvenienza di figli e prescindendo dal momento in cui la donazione è effettuata.
La revocazione non si può chiedere in caso di donazioni obnuziali o remuneratorie ovvero liberalità d'uso o quelle contemplate dall'art. 742 del codice civile. Si applica invece alle donazioni indirette.
Si ha una “donazione indiretta” in tutti quei casi in cui si verifica un arricchimento del beneficiario in correlazione ad un connesso “impoverimento” del disponente, secondo lo schema tipico della donazione, senza che sia però stipulata un “formale contratto” di donazione, ma appunto, si giunge “indirettamente” al medesimo risultato.
Alla donazione “indiretta” si applicano tuttavia le regole “sostanziali” che il codice civile detta per la donazione vera e propria.
In particolare, anche alla donazione “indiretta” si applicano le norme in tema di lesione della quota di legittima: in altri termini, se Tizio ha due figli (Caio e Sempronio) e paga, favorendo Sempronio, un debito che questi ha verso una banca a causa di una sfortunata attività imprenditoriale, con ciò Tizio ha effettuato una donazione indiretta verso il figlio Sempronio e l’altro figlio Caio può lamentarsene, se l’importo del debito è tale da ledere la quota di legittima che spetta a Caio sul patrimonio di Tizio.
La revocazione della donazione va proposta con azione giudiziale.
La legittimazione ad agire per la domanda di revocazione spetta al donante e ai suoi eredi e va proposta entro un anno a decorrere dal momento in cui si è venuti a conoscenza della causa di ingratitudine ovvero entro cinque anni per la sopravvenienza di figli, a decorrere dal giorno della nascita dell'ultimo figlio nato nel matrimonio o discendente o della notizia dell'esistenza dello stesso o dell'avvenuto riconoscimento del figlio naturale, ai sensi degli artt. 803 e 804 cod. civ.
La sentenza che la accerta è di tipo costitutivo ed ha come effetto la inefficacia della donazione e dunque la condanna del donatario alla restituzione dei beni.
Se il donatario ha alienato la res donata, è tenuto a versare una somma di denaro equivalente al valore che questo aveva al tempo della domanda e a restituire i frutti maturati dal tempo della domanda.
E’ invece tutelato chi ha acquistato diritti sui beni oggetto della donazione, a meno che il donante non abbia trascritto la propria domanda di revocazione anteriormente alla trascrizione dell'acquisto da parte del terzo (ove si tratti di beni immobili o di mobili registrati).
La legge infatti, da un lato, ha inteso evitare che il donatario e i suoi eredi utilizzassero facili vie di fuga dall'obbligo di restituzione procedendo a vendita dei beni donati e, dall'altro lato, ha voluto quella di garantire i terzi acquirenti in buona fede e, più in generale, la certezza dei traffici giuridici.
In realtà, la donazione è un atto “a rischio”, che può pregiudicare la successiva circolazione dei beni donati e l’ottenimento di un mutuo o finanziamento con ipoteca sul bene donato. E per questo è sempre sconsigliata.
La donazione ai legittimari (coniuge e figli) del donante è considerata dalla legge un anticipo dell’eredità: ciò significa che, al momento della morte del donante, essa dovrà essere imputata alla quota di legittima.
Per questo la donazione è un atto “a rischio”, che può pregiudicare la successiva circolazione dei beni donati e l’ottenimento di un mutuo o finanziamento con ipoteca sul bene donato.
La legge, infatti, appresta una tutela ad alcune categorie di familiari – i discendenti (figli e nipoti), gli ascendenti (genitori, nonni, e così via) e il coniuge del defunto – cd. legittimari, riservando ad essi una quota di eredità, cd. legittima. Infatti, se alla morte del donante, le donazioni disposte in vita dal defunto, risultino lesive dei diritti di un legittimario, questo potrà agire in giudizio per renderle inefficaci con l'azione di riduzione.
Con l’azione di riduzione, il legittimario può recuperare l’immobile donato in vita dal defunto e può recuperarlo anche da terzi che abbiano acquistato diritti dal donatario (comprese le banche che per la concessione di un mutuo abbiano ricevuto in garanzia un immobile oggetto di donazione). Infatti, qualora il donatario non abbia beni sufficienti per soddisfare le eventuali pretese del legittimario, si potrà chiedere la restituzione del bene all'acquirente stesso (azione di restituzione), il quale avrà la facoltà di liberarsi con il versamento di una somma corrispondente.
I legittimari non possono rinunciare al loro diritto di agire in giudizio, finché colui della cui eredità si tratta è ancora in vita, neanche prestando il loro assenso alla donazione. Solo quando il donante sarà morto, potranno prestare acquiescenza alla donazione compiuta.
Potrebbe accadere che il de cuius abbia posto in essere delle vendite simulate, per evitare l'azione di riduzione; in questo caso il legittimario dovrà prima dimostrare la simulazione e poi agire in riduzione.
L’effetto dell’azione di riduzione è la restituzione totale o parziale del bene.
L'azione di riduzione, di fatto, consta di tre diverse azioni, in base alla fase e ai soggetti nei cui confronti viene eseguita:
- l'azione di riduzione in senso stretto, che ha lo scopo di far dichiarare l'inefficacia (totale o parziale) delle disposizioni testamentarie e/o delle donazioni che eccedono la quota di cui il de cuius poteva disporre;
- l'azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte, che ha lo scopo, in seguito al vittorioso esperimento dell'azione di riduzione in senso stretto, a far recuperare ai legittimari i beni ancora presenti nel patrimonio dei soggetti beneficiati;
- l'azione di restituzione contro i terzi acquirenti esperibile nei confronti degli aventi causa dal soggetto beneficiato.
L'azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale. Secondo la giurisprudenza costante, se la lesione del legittimario deriva da donazione il termine di prescrizione decorre dalla data di apertura della successione (Cass. 20644/2004). Solo da questo momento, infatti, può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il diritto del legittimario a vedersi riconosciuta la propria quota di legittima.
L’azione di riduzione può estinguersi, oltre che per prescrizione, anche per rinuncia del legittimario. L’avente diritto alla quota di legittima, infatti, una volta intervenuta la morte del donante, può rinunciare ad intraprendere l’eventuale azione di riduzione.
Fermo restando il limite di prescrizione decennale, la L. 80/2005 ha introdotto un nuovo ed ulteriore termine ventennale, decorrente dalla trascrizione della donazione, entro il quale il legittimario può esercitare l'azione di riduzione per ottenere la restituzione dei beni donati dal terzo al quale siano stati ceduti dal donatario. Trascorsi 20 anni dalla donazione, infatti, il legittimario che non trovi nel patrimonio del donatario beni sufficienti a ripristinare la propria quota di legittima, non può più avanzare alcuna pretesa nei confronti di un eventuale terzo cui il bene sia pervenuto.
Infatti, prima della legge 80/2005 il legittimario che fosse stato leso da donazioni effettuate dal donante, avrebbe potuto esperire l’azione di riduzione e la successiva azione di restituzione per recuperare i beni da eventuali terzi nel termine ordinario di prescrizione (10 anni) decorrente dalla data di apertura della successione.
Attualmente invece, i legittimari lesi non possono più avanzare pretese nei confronti di terzi, se sono decorsi 20 anni dalla donazione e se non è intervenuta opposizione stragiudiziale alla donazione.
Infatti, l’azione di restituzione può essere esperita dal legittimario leso o escluso solo se non sono decorsi 20 anni dalla donazione. Qualora i 20 anni siano invece trascorsi, il legittimario, pur vittorioso nell'azione di riduzione, se il patrimonio del donatario è incapiente per soddisfare i crediti del legittimario stesso, non potrà esperire l’azione reale conseguente all'azione di riduzione e cioè l’azione di restituzione per il recupero del bene dal terzo.
L’azione di riduzione vittoriosa, esperita nel termine dei 20 anni dalla donazione che abbia comportato la restituzione del bene, libera il bene da ogni peso o ipoteca di cui sia stato nel frattempo gravato.
Il legittimario può notificare al donatario e ai suoi aventi causa e trascrivere nei pubblici registri un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione per non essere pregiudicato dal termine ventennale. La notifica sospende il termine ventennale con l’effetto che, se il legittimario sia leso dalla donazione, potrà, anche entro i 2 anni dalla donazione esperire l’azione di restituzione.
L’eventuale rinuncia alla opposizione, che permette il decorso del termine di 20 anni, non significa mai rinuncia all'azione di riduzione. Resta infatti fermo il divieto secondo cui i legittimari non possono rinunciare all'azione di riduzione finché vive il donante (art. 557 c.c.).
Ciò significa in pratica che se il donante muore quando sono non sono trascorsi venti anni dalla donazione e l’azione di riduzione per lesione di legittima venga esperita entro i 10 anni dalla apertura della successione, cioè non sono trascorsi 10 anni dalla morte del donante, se il patrimonio del donatario fosse incapiente perché ad es. quest’ultimo ha venduto il bene ricevuto in donazione, non essendo trascorsi i 20 anni dalla donazione, il legittimario leso, vittorioso nell'azione di riduzione, può chiedere e ottenere la restituzione del bene dal terzo acquirente.
Tale bene (ad es. un immobile) una volta restituito sarà libero da ogni peso o ipoteca di cui fosse stato nel frattempo gravato.
Proprio per tali motivi, le banche non concedono mutui per l’acquisto di beni di provenienza donativa e, per tale motivo, è sconsigliata la donazione di beni immobili.
Peraltro, contro le donazioni sono anche esperibili le azioni revocatorie ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. e in caso di fallimento, previste dagli artt. 64 e segg. legge fallimentare.
L’azione revocatoria consente ai creditori di recuperare i beni fuoriusciti dal patrimonio dei loro debitori, domandando, sussistendo determinate condizioni, che siano dichiarati inefficaci nei loro confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali i debitori rechino pregiudizio alle loro ragioni.
In caso di fallimento, gli atti a titolo gratuito sono privi di effetto rispetto ai creditori se compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Anche nel caso di revocatoria ordinaria è più semplice aggredire gli atti a titolo gratuito: il decreto legge n. 83 del 27 giugno 2015 ha introdotto nel codice civile l'articolo 2929-bis, che prevede l’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o alienazioni a titolo gratuito consentendo al creditore di procedere con l'azione esecutiva senza dover attendere l'esito dell'azione revocatoria.
I presupposti per avvalersi della facoltà prevista da tale norma sono che l'atto pregiudizievole posto in essere dal debitore abbia per oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri e sia stato compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito. Il pignoramento deve essere necessariamente trascritto dal creditore entro un anno dalla data in cui l'atto a titolo gratuito è stato trascritto.
La disposizione si applica anche al creditore anteriore che intervenga nell'esecuzione promossa da altri entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole.