E’ noto che all'interno dei centri commerciali i consumatori possono acquistare i prodotti più vari in quanto all'interno di tali strutture, sono presenti molteplici e diverse attività commerciali - abbigliamento, agenzie di viaggio, negozi di ottica, lavanderie, gioiellerie, ristorazione, ecc..
Il centro commerciale è disciplinato dall’art. 4 comma 1, lett. g, del d.lgs. 31.03.1998 n. 114, secondo il quale, si intende per “centro commerciale”, “una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente. Ai fini del presente decreto per superficie di vendita di un centro commerciale si intende quella risultante dalla somma della superficie di vendita degli esercizi al dettaglio in esso presenti”.
Questo decreto (cd. Codice del commercio) ha abrogato le vecchie leggi sul commercio ed ha ridefinito le attività commerciali.
L’art. 4 oltre a definire i centri commerciali, chiarisce cosa si debba intendere per:
a) per commercio all’ingrosso, l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende ad altri commercianti, all’ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in grande. Tale attività può assumere la forma di commercio interno, di importazione o di esportazione;
b) per commercio al dettaglio, l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci a nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale;
c) per superficie di vendita di un esercizio commerciale, l’area destinata alla vendita, compresa quella occupata da banchi, scaffalature e simili. Non costituisce superficie di vendita quella destinata a magazzini, depositi, locali di lavorazione, uffici e servizi;
d) per esercizi di vicinato quelli aventi superficie di vendita non superiore a 150 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;
e) per medie strutture di vendita gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto d) e fino a 1.500 mq nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 2.500 mq nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;
f) per grandi strutture di vendita gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui al punto e);
g) per centro commerciale, una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente. Ai fini del presente decreto per superficie di vendita di un centro commerciale si intende quella risultante dalla somma della superficie di vendita degli esercizi al dettaglio in esso presenti;
h) per forme speciali di vendita al dettaglio:
- la vendita a favore di dipendenti da parte di enti o imprese, pubblici o privati, di soci di cooperative di consumo, di aderenti a circoli privati nonché la vendita nelle scuole, negli ospedali e nelle strutture militari esclusivamente a favore di coloro che hanno titolo ad accedervi;
- la vendita per mezzo di apparecchi automatici;
- la vendita per corrispondenza o tramite televisione, o altri sistemi di comunicazione;
- la vendita presso il domicilio dei consumatori o in altra sede diversa dalle aree pubbliche.
2. Il presente decreto non si applica:
a) ai farmacisti e ai direttori di farmacie delle quali i comuni assumono l’impianto e l’esercizio ai sensi della legge 2 aprile 1968, n. 475 e successive modificazioni e della legge 8 novembre 1991, n. 362 e successive modificazioni, qualora vendano esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali, dispositivi medici e presidi medico-chirurgici;
b) ai titolari di rivendite di generi di monopolio qualora vendano esclusivamente generi di monopolio di cui alla legge 22 dicembre 1957, n. 1293 e successive modificazioni e al relativo regolamento di esecuzione, approvato con d.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074 e successive modificazioni.
c) alle associazioni dei produttori ortofrutticoli costituite ai sensi della legge 27 luglio 1967, n. 622 e successive modificazioni;
d) ai produttori agricoli, singoli o associati, i quali esercitano attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui all’articolo 2135 del Codice civile, alla legge 25 marzo 1959, n. 125 e successive modificazioni e alla legge 9 febbraio 1963, n. 59 e successive modificazioni;
e) alle vendite di carburanti nonché degli oli minerali di cui all’articolo 1 del regolamento approvato con regio decreto 20 luglio 1934, n. 1303 e successive modificazioni. Per vendita di carburanti si intende la vendita dei prodotti per uso di autotrazione, compresi i lubrificanti, effettuata negli impianti di distribuzione automatica di cui all’articolo 16 del decreto legge 26 ottobre 1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 1970, n. 1034 e successive modificazioni, e al decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32;
f) agli artigiani iscritti nell’albo di cui all’articolo 5, primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni accessori all’esecuzione delle opere o alla prestazione del servizio;
g) ai pescatori e alle cooperative di pescatori, nonché ai cacciatori, singoli o associati, che vendano al pubblico, al dettaglio, la cacciagione e i prodotti ittici provenienti esclusivamente dall’esercizio della loro attività e a coloro che esercitano la vendita i prodotti da essi direttamente e legalmente raccolti su terreni soggetti a usi civici nell’esercizio dei diritti di erbatico, di fungatico e di diritti similari;
h) a chi venda o esponga per la vendita le proprie opere d’arte, nonché quelle dell’ingegno a carattere creativo, comprese le proprie pubblicazioni di natura scientifica o informativa, realizzate anche mediante supporto informatico;
i) alla vendita dei beni del fallimento effettuata ai sensi dell’articolo 106 delle disposizioni approvate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni;
l) all’attività di vendita effettuata durante il periodo di svolgimento delle fiere campionarie e delle mostre di prodotti nei confronti dei visitatori, purché riguardi le sole merci oggetto delle manifestazioni e non duri oltre il periodo di svolgimento delle manifestazioni stesse;
m) agli enti pubblici ovvero alle persone giuridiche private alle quali partecipano lo Stato o enti territoriali che vendano pubblicazioni o altro materiale informativo, anche su supporto informativo, di propria o altrui elaborazione, concernenti l’oggetto della loro attività.
Resta fermo quanto previsto per l’apertura delle sale cinematografiche dalla legge 4 novembre 1965, e successive modificazioni, nonché dal decreto legislativo 8 gennaio 1998, n. 3.”
La giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. II, 14 marzo 2011, n. 730) ha escluso che possa costituire “centro commerciale” una media struttura di vendita alimentare comprendente, accanto all’esercizio di vendita, altri esercizi di vicinato, quali la farmacia comunale, espressamente esclusa dall’art. 4 del d. lgs. 114/1998 dalla disciplina del commercio, uno sportello bancario (l’attività bancaria trova la sua regolamentazione nel d.lgs. 385/1993) ed un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, anch’esso non compreso nell’attività di commercio di cui al D.Lgs. 114/1998.
Infatti, non può costituire centro commerciale una struttura di vendita, anche media o grande, nella quale siano collocate più attività non disciplinate dal D.Lgs. 114/98.
Ogni Regione è chiamata a dare attuazione alla normativa del Codice del Commercio.
In linea generale però il Centro Commerciale richiede l’autorizzazione unitaria e “a seguito dell’autorizzazione del Centro Commerciale, sono rilasciate tante singole autorizzazioni quanti sono gli esercizi commerciali di cui agli articoli 8 e 9 del d.lgs. 114/98 inseriti nel Centro Commerciale. Le superfici di vendita comunicate (nel caso degli esercizi di vicinato) o autorizzate dei singoli esercizi discendono dalla autorizzazione unitaria e il loro totale non deve superare quello della citata autorizzazione. Non è consentita l’allocazione di un esercizio di vicinato all’interno di un Centro Commerciale o il trasferimento di un esercizio già autorizzato oltre i limiti complessivi della superficie di vendita della autorizzazione unitaria rilasciata con le modalità e procedure di cui agli articoli 8 e 9 del d.lgs. 114/98 . Qualora ciò avvenga, configurandosi un aumento della originaria superficie di vendita autorizzata, deve essere richiesta una nuova autorizzazione unitaria per tutto il Centro Commerciale. Non è consentito il trasferimento di singole autorizzazioni o di attività comunicate fuori dal Centro Commerciale.
In caso di cessazione dell’attività di uno dei punti di vendita autorizzati o comunicati allocati nel C.C. ed in mancanza di un soggetto subentrante entro il termine di cui all’art. 22, comma 4 lettera b), del d.lgs. n. 114/98 il comune riduce la superficie di vendita complessiva del C.C. riportata nella autorizzazione unitaria.” Così il Regolamento Regionale Lombardia 21 luglio 2000 n. 3 -Regolamento di attuazione della legge regionale 23 luglio 1999 n. 14 per il settore del commercio (BURL n. 30, 2º suppl. ord. del 25 Luglio 2000 ).
Pertanto, il centro commerciale ha un’unica autorizzazione ad ombrello per la superficie di vendita complessiva e poi le superfici di vendita comunicate (nel caso degli esercizi di vicinato) o autorizzate dei singoli esercizi discendono dalla autorizzazione unitaria e il loro totale non deve superare quello della autorizzazione del centro.
Normalmente nel centro commerciale c’è una piattaforma alimentare e una galleria commerciale nella quale operano i diversi esercizi.
Questi esercizi hanno normalmente stipulato contratti di locazione con la proprietà del Centro, al fine di avere spazi dedicati. Molto spesso però, i contratti “imposti” agli operatori del centro sono contratti di affitto di ramo di azienda.
Quando il proprietario del centro commerciale o anche della sola galleria commerciale è il titolare della licenza amministrativa per tutte (o buona parte) le attività presenti all’interno del centro commerciale c’è la necessità di far circolare l’autorizzazione amministrativa e quindi ci può essere la necessità di stipulare un affitto di ramo di azienda.
Anche se è alquanto difficile che il proprietario del centro commerciale sia il titolare delle aziende e dei vari marchi presenti sulle insegne degli esercizi insediati all’interno del complesso edilizio e anzi, ciò è escluso per il sol fatto che gli esercizi in questione appartengono a grandi catene in franchising, pure, gli operatori economici possono occupare gli spazi del centro, stipulando contratti di affitto di azienda, in cui il proprietario dei muri, anziché dare il semplice godimento dell’immobile concede in godimento l’azienda.
In tal modo, concedendo la gestione, l’affitto dell’azienda può far circolare l’autorizzazione.
Il contratto di affitto di ramo d’azienda è il contratto con cui un soggetto (c.d. “Concedente”) concede in godimento a un terzo (c.d. “Affittuario”) una determinata azienda di cui è titolare e che viene esercitata in una data unità immobiliare, a fronte del pagamento di un corrispettivo periodico (c.d. canone).
Si intende per azienda, ai sensi dell’art. 2556 c.c., il complesso dei beni (mobili e immobili, materiali e immateriali) concessi in godimento e organizzati unitariamente per la produzione di beni e servizi, ivi inclusa, pertanto, l’autorizzazione commerciale per l’esercizio dell’attività che, diversamente, nell'ambito del contratto di locazione è un onere del conduttore procurarsi.
Tale aspetto assume particolare rilevanza in relazione alle grandi superfici di vendita per le quali la procedura per il rilascio di tale autorizzazione è lunga e complessa con necessità di coinvolgere soggetti quali Provincia e la Regione in Conferenza di Servizi.
Rispetto al contratto di locazione commerciale (ai sensi degli artt. 27 e ss. L. 392/78 e degli artt. 1571 e ss. c.c.), che consiste esclusivamente nella concessione in godimento di un bene immobile (che ne costituisce l’unico oggetto), l’affitto di ramo d’azienda ha per oggetto una struttura aziendale in cui l’immobile costituisce soltanto uno degli elementi (in rapporto di complementarità e di interdipendenza con gli altri beni aziendali). La sussistenza, in tale fattispecie contrattuale, di un vero e proprio complesso aziendale, è dimostrata dal fatto che la parte concedente procede alla voltura, in favore dell’affittuaria, di un’autorizzazione amministrativa all'esercizio dell’attività commerciale esercitata mediante il ramo aziendale affittato.
La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 803 del 2013 ha affermato che “l’obbligo di esercitare, all'interno di un centro commerciale, solo una determinata attività commerciale e il divieto permanente di modificarla sono circostanze incompatibili con la locazione di immobile ad uso commerciale, in quanto necessariamente collegate a un’organizzazione aziendale e al mantenimento dell’equilibrio economico e strutturale della medesima, esse permettono di classificare il contratto come affitto di ramo d’azienda. La voltura pro tempore dell’autorizzazione amministrativa per lo svolgimento dell’attività commerciale, nonché la possibilità, sancita in contratto, di usufruire di tutti i servizi comuni al centro commerciale individuano un contratto di affitto di ramo d’azienda. Laddove permangano dei dubbi sulla qualificazione giuridica del contratto, il negozio giuridico di accertamento permette di superare ogni riserva poiché con esso le parti sanciscono l’esistenza o l’inesistenza di un rapporto giuridico incerto, delimitandone con esattezza il contenuto”.
Gli elementi che hanno portato a tale definizione sono:
- l’impossibilità per l’affittuario di modificare la destinazione attribuita al ramo d’azienda la quale porta a considerare il suddetto necessariamente all'interno di un’organizzazione commerciale il cui andamento potrebbe essere turbato da un’eventuale violazione di tale limite;
- la considerazione dell’oggetto del contratto quale complesso unitario di beni organizzati che comprende anche e non solo l’immobile (Cass. N. 13683/2007);
- i numerosi servizi aggiuntivi, quali ad esempio l’avviamento del centro stesso, la pubblicizzazione e l’utilizzo di segni distintivi dei quali l’affittuario può godere.
La questione relativa all'inquadramento del rapporto tra concedente e affittuario e alla qualificazione giuridica dei contratti sottoscritti all'interno dei centri commerciali è argomento spinoso in quanto è evidente che gli affittuari hanno interesse a vedere applicate le più favorevoli norme di cui alla legge n. 392 del 1978, in mancanza di una disciplina legislativa ad hoc sul punto.
Infatti, per quanto apparentemente sfumate, le differenze tra la locazione e l’affitto sono molteplici, sotto vari profili.
Ad es. in relazione ai contratti stipulati con gli operatori dei centri commerciali si è posto il problema di verificare l'esistenza o meno di un diritto all'indennità per perdita dell'avviamento in caso di cessazione del rapporto di locazione, sulla base di quanto previsto dall'art. 34 Legge 392 del 1978.
Questa norma, come è noto, riconosce al titolare dell'esercizio commerciale - in caso di cessazione del rapporto di locazione per l'immobile ad uso commerciale – attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e consumatori (se la cessazione non è determinata da inadempimento o recesso del conduttore) - una indennità per perdita di avviamento pari a 18 mensilità o 21 per l'attività alberghiera.
L’art. 35 della Legge 392/78 prevede che l’indennità non è dovuta per gli esercizi ubicati all'interno di stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio, alberghi e villaggi turistici. Infatti è chiaro che se la finalità dell’indennità è quella di riconoscere al conduttore un compenso per la perdita dell'avviamento che l'imprenditore ha creato con la propria attività ristabilendo sostanzialmente l’equilibrio economico alterato a seguito della cessazione della locazione, tale risarcimento non spetta per quegli operatori che esercitano l’attività in luoghi in cui si avvantaggiano della clientela che “per necessità” deve passare in luoghi quali le stazioni, gli ospedali, aeroporti ecc. Gli utenti che transitano o soggiornano nella struttura principale, diventano anche clienti dell’operatore commerciale e la capacità di richiamo della clientela è riferibile alla struttura e viene sfruttata dall'operatore – cd. avviamento parassitario.
In quei luoghi il conduttore non ha svolto alcuna opera di incremento dell’avviamento che non è perciò conseguente all'attività del conduttore.
La norma non include tra queste strutture i centri commerciali. Perciò si è dubitato del fatto se al conduttore spettasse in tal caso l’avviamento in quanto, si è sostenuto che la peculiare collocazione dell'esercizio all'interno del Centro Commerciale garantiva uno stabile flusso di clienti e potenziali clienti. Perciò, in detta situazione si è sostenuto che doveva farsi applicazione in via analogica della limitazione di cui al citato art. 35 legge 392 del 1978.
Inoltre si è sostenuto che, nella locazione di immobili interni a tali strutture, difetta la stessa possibilità di contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori poiché, in sostanza, il negozio sarebbe un semplice reparto vendita, privo di una sostanziale autonomia.
La Corte di Cassazione (sentenza 23 settembre 2016 n. 18748) ha disatteso questa interpretazione sostenendo che i Centri Commerciali di dimensione molto ampia, ove sono presenti una molteplicità di esercizi che offrono prodotti e servizi, assumono "una funzione attrattiva di clientela che costituisce – a ben vedere – il risultato del richiamo operato dalle singole attività che vi hanno sede, in una sorta di sinergia reciproca".
In tale situazione non è possibile distinguere un avviamento "proprio" del Centro Commerciale che non sia anche il frutto di un avviamento di ciascuna attività in esso svolta.
Dal che consegue che anche in relazione a detti contratti, concernenti locali interni o complementari ai Centri Commerciali, deve essere riconosciuta una indennità per la perdita dell'avviamento, poiché l'esercizio ha contribuito esso stesso all'avviamento del Centro.
In tale contesto, sarebbero anche irrilevanti le circostanze correlate al fatto che le modalità di afflusso della clientela siano condizionate dagli orari imposti dal Centro Commerciale, poiché – secondo la Corte - ciò che ha importanza è la capacità di attrazione della clientela che dipende – come per ogni "zona commerciale" – dal complesso delle attività che vi sono insediate.
In pratica ciascuna attività commerciale, secondo questa impostazione ha una capacità di acquisire e fidelizzare i clienti.
Ma le differenze tra affitto e locazione sono molteplici e decisamente fanno propendere per la preferenza dei proprietari di centri commerciali per l’affitto.
L’affitto di azienda è uno strumento che trova frequente utilizzo nella prassi operativa della concessione in godimento di beni immobili, in quanto consente alle parti di configurare in piena autonomia le relative pattuizioni contrattuali (in primis, importo del canone e durata contrattuale), senza dover soggiacere ai limiti e alle imposizioni della legislazione “vincolistica” prevista per i contratti di locazione commerciale (in particolare, la L. 392/78).
Si consideri, inoltre, che la disciplina in materia di affitto di azienda (artt. 2561-2562 c.c.) impone alla parte affittuaria uno specifico obbligo di mantenere intatta la produttività e l’efficienza dell’azienda concessa in godimento: garantendo, quindi, una più ampia tutela dell’avviamento commerciale relativo all'attività svolta nell'immobile concesso in godimento.
Si rappresenta infra un confronto delle principali caratteristiche di locazione e affitto di ramo d’azienda, da cui emergono limiti e vincoli normativi imposti in materia di locazione (e del tutto insussistenti per i contratti di affitto di ramo d’azienda).
CARATTERISTICHE | LOCAZIONE IMMOBILIARE | AFFITTO DI RAMO D’AZIENDA |
INDENNITA’ PER PERDITA AVVIAMENTO |
in caso di cessazione del contratto di locazione (ad “uso diverso”) non derivante da iniziativa del conduttore (ad es. recesso) o da procedure concorsuali, è dovuta, in favore del conduttore, un’indennità per perdita di avviamento ex art. 34 L. 392/78, pari a 18 mensilità di canone (21 mensilità per le locazioni alberghiere).
NB: il conduttore ha diritto a un’indennità di pari importo se entro un anno da cessazione attività, viene intrapresa nell’immobile locato un’attività commerciale similare. NB1: l'esecuzione forzata per rilascio è condizionata al pagamento dell’indennità. NB2: non è dovuta indennità nei casi in cui: (i) l’attività svolta non implica contatti diretti con pubblico degli utenti/consumatori; (ii) attività professionale; (iii) attività di carattere transitorio o interne a stazioni/aeroporti/aree di servizio stradali. |
non è dovuta alcuna indennità per perdita di avviamento |
DURATA |
la durata non può essere inferiore ai 6 anni (9 per le locazioni alberghiere), rinnovabili per ulteriori 6 anni (o 9 per le locazioni alberghiere) (artt. 27-28 L.392/78).
NB: Tale rinnovazione non ha luogo se dal conduttore viene effettuata disdetta entro 12 mesi prima della scadenza (18 mesi per locazioni alberghiere). |
la durata è rimessa alla libera disponibilità delle parti. |
FACOLTA’DINIEGO RINNOVAZIONE DA PARTE DEL LOCATORE | alla prima scadenza contrattuale, il locatore ha facoltà di diniego della rinnovazione soltanto nei casi (e entro i termini) tassativamente indicati ex art. 29 L.392/78 (artt. 28-29 L.392/78). | non vi sono limiti all’autonomia contrattuale delle parti nel disciplinare la facoltà di diniego della rinnovazione in capo al Concedente. |
PRELAZIONE LEGALE |
in caso di vendita dell’immobile locato, il locatore deve comunicare le condizioni contrattuali al conduttore, che, entro 60 giorni, può esercitare un diritto di prelazione sul bene, offrendo di acquistarlo alle medesime condizioni prospettate dal locatore (art. 38 L. 392/78). | non sussiste alcuna prelazione legale in favore dell’affittuario, fatta eccezione per l’ipotesi del tutto marginale di affitto di azienda sottoposta a Cassa Integrazione (art. 4 L. 223/91). |
ENTITA’DEPOSITO CAUZIONALE | l’importo del deposito cauzionale non può eccedere tre mensilità di canone (art. 11 L. 392/78). | non vi è alcun limite massimo per l’importo del deposito cauzionale. |
DETERMINAZIONE CANONE DI LOCAZIONE | per conforme giurisprudenza, sulla scorta dell’art. 32 L. 392/78, è nulla ogni pattuizione con cui, in sede di stipula, le parti di un contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo abbiano stabilito l'aumento della misura del canone (oltre il normale adeguamento ISTAT). | possibilità di derogare al regime ordinario riguardante la determinazione del canone di locazione (ad esempio, prevedendo la facoltà di aggiornare/variare anche in aumento - c.d. step rent). |
AGGIORNAMENTI ISTAT CANONE | L’entità dell’adeguamento del canone alle variazioni del potere di acquisto della moneta non può eccedere il 75% della variazione indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (art. 32 L. 392/78). | L’entità dell’adeguamento del canone alle variazioni del potere di acquisto della moneta può coincidere del tutto con la variazione indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati o, eventualmente, anche superarlo. |
DISCIPLINA RECESSO | può recedere dal contratto soltanto il conduttore, a fronte di un preavviso di almeno 6 mesi (art. 27 L. 392/78).
|
è possibile definire le ipotesi di recesso dell’affittuario e del Concedente, stabilendone i termini e le condizioni. |
PRELAZIONE CONDUTTORE IN CASO DI NUOVA LOCAZIONE | Il locatore che intenda locare a terzi l'immobile, alla scadenza del contratto rinnovato, deve comunicare le offerte al conduttore (almeno sessanta giorni prima della scadenza), il quale ha diritto di prelazione sul nuovo contratto di locazione, se accetta le condizioni pattuite tra locatore e terzo (art. 40 L. 392/78). | non vi è alcuna prelazione dell’affittuaria in caso di successivo contratto. |
FACOLTA’ DI SUBLOCAZIONE E CESSIONE DEL CONTRATTO |
Il conduttore può sublocare l'immobile o cedere il contratto di locazione (anche senza il consenso del locatore), in caso di cessione e/o locazione dell’azienda esercitata nell’unità locata (dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento). A tale cessione il locatore può opporsi soltanto per gravi motivi. (art. 36 L. 392/78). | non sussiste una simile disposizione normativa in materia di affitto di azienda, in cui non si ha, quindi, una soggezione ipso iure (e non modificabile in sede contrattuale) ad una siffatta facoltà di sublocazione e/o cessione del contratto da parte del conduttore. |
PATTI CONTRARI ALLA LEGGE |
È nulla ogni pattuizione diretta a: (i) limitare la durata legale del contratto o (ii) ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero (iii) ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni normative in materia di locazione ex L. 392/78 (art. 79 I co. L. 392/78).
NB: il conduttore può esperire (entro sei mesi dalla riconsegna) azione di ripetizione delle somme corrisposte in violazione dei limiti imposti ex L. 392/78 (art. 79 II co. L. 392/78). NB1: nei contratti di locazione “ad uso diverso” con un canone annuo superiore ad euro 250.000 (e non riferiti a locali qualificati di interesse storico da provvedimento regionale o comunale), le parti possono prevedere termini e condizioni contrattuali in deroga alle disposizioni della L. 392/78. Tali contratti devono avere forma scritta “ad probationem” (art. 79 III co. L. 392/78). |
Non sussistono tali limitazioni in materia di affitto di azienda, in cui le parti hanno piena autonomia: (i) nel prevedere la durata contrattuale; (ii) nella determinazione del canone; (iii) nel prevedere eventuali vantaggi in capo al locatore e/o al conduttore. |
OBBLIGHI A CARICO DELLA PARTE CHE RICEVE IN GODIMENTO I BENI |
gli obblighi di parte conduttrice sono limitati al mantenimento/conservazione/utilizzo del bene locato (art. 1587 e ss. c.c.).
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gli obblighi di parte affittuaria si estendono all’attività di gestione aziendale e ne esplicano le modalità e l’affittuario deve gestire l'azienda: (i) senza modificarne la destinazione; (ii) in modo da conservare l’efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (artt. 2561-2562 c.c.). Ad esempio, è tenuto a sostituire gli impianti non più efficienti/tecnicamente superati.
Si ha quindi una maggior garanzia di sviluppo e conservazione dell’avviamento aziendale. |
OBBLIGHI A CARICO DELLA PARTE CHE RICEVE IN GODIMENTO I BENI |
v. sopra |
alla cessazione del contratto, sussiste un importo a debito/credito per l’affittuario, che viene calcolato in base alla differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine del contratto (il cui valore è determinato sulla scorta dei valori correnti al momento di cessazione del contratto) (artt. 2561-2562 c.c.). |
IMPOSTA DI REGISTRO |
a) 2% del canone annuo (art. 5 Tariffa parte prima - DPR 131/86).
b) 1% del canone annuo (in caso di esercizio opzione di assoggettamento al regime IVA previsto dal DL 223/06 convertito in L. 248/06). |
a) 2% del canone annuo (art. 5 Tariffa parte prima - DPR 131/86).
b) 1% del canone annuo (in caso di esercizio opzione di assoggettamento al regime IVA ex DL 223/06 convertito in L. 248/06). |