L’art. 1669 cod. civ. prevede che: «Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia».
La norma in esame, anche se prevista dal codice in tema di appalto, è stata estesa dalla giurisprudenza sia di legittimità sia di merito, ai casi di acquisto di privato dal venditore - costruttore dell’immobile ed è applicabile anche al venditore nei casi in cui quest’ultimo abbia realizzato l’immobile servendosi dell’opera di terzi, purché la costruzione sia a esso riferibile per aver mantenuto il potere di coordinare l’attività costruttiva altrui (cioè il committente ha ad es. nominato un direttore dei lavori).
Nonostante la sua collocazione, la norma ha anche lo scopo di tutela di interessi di carattere generale e pubblico alla stabilità e solidità degli immobili a garanzia e protezione dell’incolumità e sicurezza dei cittadini.
Per questo, ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 122/2005, è previsto per il costruttore l’obbligo di contrarre e consegnare all'acquirente, all'atto di trasferimento della proprietà, una polizza assicurativa indennitaria decennale a beneficio dell’acquirente con effetto dalla data di ultimazione dei lavori (cd. decennale postuma). In caso di vizi gravi, l’acquirente è garantito poiché provvederà all'indennizzo la Compagnia assicurativa.
L’art. 1669 c.c., configura una responsabilità extracontrattuale speciale e perciò comporta una presunzione di responsabilità del venditore-costruttore di cui non andrà provata la colpa.
Il danneggiato acquirente dovrà perciò provare unicamente l’esistenza del vizio.
E’ perciò importante che l’azione sia supportata da una relazione tecnica che descriva esattamente i vizi e quantifichi il danno.
Secondo consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità, «i gravi difetti che danno luogo a responsabilità del costruttore nei confronti dell’acquirente ex art. 1669 c.c. sono ravvisabili non solo nell’ipotesi di rovina o di pericolo di rovina dell’immobile, ma anche in presenza di fatti che, senza influire sulla stabilità, pregiudichino in modo grave la funzione cui l’immobile è destinato e dunque la godibilità e la fruibilità dello stesso sotto l’aspetto abitativo, come quando la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte e anche incidenti su elementi secondari e accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti) purché tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione» (per tutte App. Roma, 3 maggio 2011, n. 2002; Cass. civ., 28 aprile 2004, n. 8140; 29 aprile 2008, n. 10857).
Sono ricompresi, non solo i gravi difetti di costruzione ma anche i vizi “parziali” dell’opera (Cassazione civile, sez. II, sentenza 12.04.2012 n. 9119). In altri termini, il vizio che assume rilevanza ai sensi dell’art. 1669 c.c. deve essere in grado di pregiudicare in modo grave (e non necessariamente globale) la funzione che l’immobile è destinato ad assolvere, limitandone in modo notevole la possibilità di godimento (anche con riferimento ad una sola parte apprezzabile dello stesso).
Il pregiudizio, quindi, non deve incidere necessariamente sulla stabilità dell’opera, né comportare pericolo di rovina in senso stretto, dovendosi annoverare tra i gravi difetti di costruzione, valutabili ai fini dell’applicabilità dell’art. 1669 c.c., anche quelli che si risolvono nella realizzazione dell’opera con materiale inidoneo pur se riguardano elementi non propriamente strutturali quali i rivestimenti o la pavimentazione.
La Suprema Corte ha, in particolare, riconosciuto la natura di vizi ex art. 1669 c.c., nel caso di fessurazioni e crepe nella pavimentazione (Cass. civ., 29 aprile 2008, n. 10857), distacco d’intonaco (Trib. Savona, 3 luglio 2004; Cass. civ., 10 aprile 1996, n. 3301), infiltrazioni (Trib. Cagliari, 14 novembre 2006, n. 2786; Cass. civ., 4 novembre 2005, n. 21351, Trib. Legnano 17 luglio 2012).
Per proporre l’azione:
1. il danno deve essersi verificato entro dieci anni dal compimento dell’opera,
2. il proprietario dell’immobile deve denunciare il vizio entro il termine di decadenza di un anno dalla sua scoperta;
3. la causa deve essere proposta avanti al tribunale entro il termine di prescrizione di un anno dalla denuncia del vizio.
Il termine di un anno dalla denuncia (termine di prescrizione) comincia a decorrere dal momento in cui il danneggiato ha conoscenza completa dei danni (per tutte Cassazione, 9.09.2013, n. 20644). La completa conoscenza sussiste solo quando risultano effettuati idonei accertamenti tecnici. In tal senso, Cass. 17.12.2013, n. 28202 ha precisato che ai fini della decorrenza del termine di decadenza (e di conseguente prescrizione) «deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi quanto al collegamento causale di essi con l’attività espletata, sì che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori, solo dall’atto dell’acquisizione di idonei accertamenti tecnici».
Ovviamente, come ha precisato la Cassazione, il ricorso a un accertamento tecnico non può essere utilizzato dal danneggiato quale escamotage per essere rimesso in termini se risulti che lo stesso invece, aveva già avuto esatta conoscenza dell’entità e delle cause dei vizi.
Compete infatti, al giudice del merito accertare se il danneggiato aveva già conoscenza dei difetti e della loro consistenza tanto da aver potuto già denunciarli in epoca precedente, pur senza l’ulteriore supporto del parere di un perito (cfr. Cass. 9-3-1999 n. 1993, Cass. 2-9-92 n. 1016).
In presenza di vizi manifesti (non occulti), pertanto, – in cui ad esempio la presenza di gravi e diffuse infiltrazioni d’acqua negli immobili condominiali si era manifestata sin da subito, essendo gli stessi di nuova costruzione – la denuncia va effettuata nei termini, senza che si renda necessario attendere gli esiti della relazione tecnica (Cass., 30.5.2014 n. 12297).
A contrario, se vi è stato riconoscimento dei vizi da parte del venditore- costruttore, la decadenza non opera.
Quando non ci sono più i termini o quando non sia più invocabile la tutela speciale ex art. 1669 c.c. potrà essere utilizzata la tutela ex art. 2043 c.c., e sempre che non siano decorsi cinque anni dalla realizzazione, ma in tale ipotesi non opererà la presunzione di responsabilità del costruttore, e spetterà all'attore provare la colpa di quest’ultimo.
Infatti, nell'ipotesi di esperimento dell’azione ex art. 2043 c.c. non opera il regime probatorio speciale di presunzione della responsabilità del costruttore; in tale ipotesi, spetta a chi agisce provare tutti gli elementi richiesti dalla norma generale, e, in particolare, anche la colpa del costruttore (Cass. 8520/2006).
Le azioni previste dagli articoli sopra citati sono esperibili, oltre che dal committente e dai singoli proprietari degli immobili per quanto riguarda i vizi e difetti inerenti alle singole unità immobiliari, anche da parte degli amministratori di condominio nei confronti dei costruttori-venditori, per i vizi riguardanti le parti comuni degli edifici.
Infatti, l’amministratore è legittimato in forza di legge ai sensi dell’art.1130 n.4 c.c. a compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio (Cass. n. 22656/2010).
E’ chiaro che l’amministratore non può assumere un mandato rappresentativo dei singoli condomini per proporre azione per i danni subiti nelle unità immobiliari di loro proprietà esclusiva.
Si ritiene che l'espressione "atti conservativi" di cui all'art. 1130 n. 4) c.c. non comprende le azioni petitorie (art. 948,951 c.c.) ma include le azioni possessorie (artt. 1168 ss. c.c.) o quelle tendenti al recupero delle spese necessarie per il ripristino della cosa comune. Inoltre, si ritiene che di regola l’amministratore possa esperire l'azione di responsabilità ex art. 1669 c.c. In tutti questi casi, l’amministratore può agire senza la necessità che l'assemblea lo autorizzi previamente.
Nel rapporto condominio singoli condomini, la Corte di Cassazione, con sentenza 10. 10.2012 n. 17268, ha precisato che qualora il fenomeno dannoso sui beni di proprietà esclusiva sia originato da difettosa realizzazione delle parti comuni dell’edificio (nella specie, precaria situazione della muratura perimetrale adiacente al giardino condominiale e dei pozzetti) nei confronti di questi è responsabile, in via autonoma ex art. 2051 c.c., il condominio, che è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria indipendentemente da colpa nella causazione dei danni provocati dai difetti. Non si tratta di una responsabilità a titolo derivativo (il condominio, pur successore a titolo particolare del costruttore venditore, non subentra nella sua personale responsabilità, legata alla sua specifica attività e fondata sull'art. 1669 c.c.), ma di autonoma fonte di responsabilità ex art. 2051 c.c..
Pertanto, i singoli condomini potrebbero in ipotesi, agire contro il Condominio con ciò creando a questo una voce di costo.
Perciò è precisa responsabilità dell’amministratore agire per evitare che in futuro il Condominio sopporti costi che avrebbe potuto evitare qualora si fosse agito nei confronti dell’effettivo responsabile.
In caso di alienazione di un immobile che ha subito danni ad opera di terzi - cioè quando il danno non è stato causato né dal venditore, né dall'acquirente, ma ad esempio, se si tratta di immobile in condominio, il danno è stato causato dal proprietario dell’appartamento sovrastante -, ci si può domandare a chi spetti il diritto al risarcimento del danno.
Non è raro che ci si chieda se il risarcimento in tal caso spetti a colui che era proprietario al momento in cui si è verificato l’evento dannoso oppure all'acquirente dell’immobile, titolare del diritto al risarcimento nel momento in cui viene promosso il giudizio per l’accertamento dei danni.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 2951 del 16 febbraio 2016, afferma che tale diritto spetta a colui che è proprietario al momento in cui si verifica l’evento dannoso, anche se l’immobile è stato successivamente alienato ad altro soggetto.
Il risarcimento del danno non segue il trasferimento di proprietà.
La motivazione è nella natura del diritto al risarcimento del danno, che è un diritto di credito, autonomo e distinto rispetto al diritto reale di proprietà; di conseguenza, perché il diritto al risarcimento del danno sia trasferito unitamente alla proprietà del bene danneggiato, sarà necessario un apposito negozio di cessione del credito, disciplinato all'art. 1260 del codice civile.
In mancanza di tale specifica pattuizione, che disponga la cessione del diritto al risarcimento dall'alienante all'acquirente, deve ritenersi che il risarcimento spetti al primo, pur se egli non sia più proprietario del bene.
In realtà non era mancata giurisprudenza che aveva espresso il principio opposto (per tutte, Cass sez. 2^, 14 luglio 2008, n. 19307) secondo cui “ l'acquirente di un bene è legittimato ad agire per il risarcimento del danno prodotto da un terzo anteriormente alla vendita in quanto dal perfezionamento del trasferimento consegue la titolarità del diritto di credito anche in mancanza di un'espressa cessione dell'azione ed anche se l'acquirente non era a conoscenza della preesistenza del danno salvo che, nell'ambito dell'autonomia negoziale delle parti, l'azione non sia stata riservata al venditore".
Le Sezioni Unite, più coerentemente affermano dunque l’opposto principio secondo cui: "Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà sul bene al momento dell'evento dannoso. E' un diritto autonomo rispetto al diritto di proprietà e non segue il diritto di proprietà in caso di alienazione, salvo che non sia convenuto il contrario".